Alte Vie
Generali, pellegrini e grandi campioni sui passi alpini alle porte di Torino.
Periodo consigliato
Mag - Ott
Dislivello Totale
7.920 m
Lunghezza totale
304 km
Durata
3/4 Giorni
S
Alte Vie
00
Intro
01
La memoria degli elefanti, l’indifferenza degli stambecchi
02
Dalla Sacra alle Finestre
03
Verso il Colle dell’Assietta
04
Oltre il Monginevro
05
Da Bardonecchia a Rochemolles e la strada dei Forti
06
Ultime apparizioni prima del traguardo
Per capire ed apprezzare la Val di Susa bisogna quindi fare un passo indietro e conoscerne la storia. Questo è un posto di frontiera da sempre attraversato e abitato dagli uomini. Non sono molti i colli e i tornanti delle Alpi in cui, nello stesso punto ma a distanza di secoli, sono transitati eserciti provenienti da tutta Europa – in un caso anche dall’Africa – imperatori, re, principi e generali, e poi pellegrini, ma anche l’ultimo campione del ciclismo moderno ad aver completato, in carriera, la tripletta Giro-Tour-Vuelta.
Insomma, da queste parti si cammina e si pedala lungo strade e sentieri con la consapevolezza di non essere né i primi né tantomeno gli ultimi a passare di qua. E in fondo è proprio questo aspetto a renderle uniche, o perlomeno interessanti.
Il fatto che la Val di Susa sia terra di strade e di umani in movimento, lo deve alla sua geografia, che la rende una delle valli alpine più estese in larghezza e lunghezza, a cavallo di due Paesi, la Francia e l’Italia, che, nel corso dei secoli, sono stati di volta in volta fratelli e nemici.
Nel 218 a.C. ci passò molto probabilmente Annibale con i suoi elefanti, come sembrano voler suggerire alcuni indizi nei pressi del Moncenisio. Meno di due secoli più tardi, invece, è storicamente certo che ci transitò Giulio Cesare, ma in direzione opposta, verso la Gallia che l’esercito romano avrebbe invaso e sottomesso.
Carlo Magno la attraversò furtivo nel 773, aggirando i nemici Longobardi nei pressi di Avigliana e facendo poi marcia su Pavia. I Savoia nel 1747 si resero protagonisti di una delle battaglie simbolo della storia piemontese, quella dell’Assietta – ci torneremo… fra qualche chilometro – e Napoleone, mezzo secolo dopo o poco più, fece potenziare le strade sui colli per rafforzare il suo effimero impero. Negli ultimi giorni del 1943, a qualche chilometro da Susa, i partigiani compirono il più grande sabotaggio ferroviario d’Europa, facendo saltare il viadotto dell’Arnodera e troncando così ai nazisti i collegamenti con la Francia. Il 25 maggio 2018, infine, Chris Froome sul Colle delle Finestre scrisse una delle più memorabili pagine di ciclismo eroico dell’ultimo mezzo secolo.
Per percorrere in bici questa valle, non c’è bisogno di inventarsi chissà quali tracce: i secolari passaggi da un versante all’altro di queste montagne sono testimoniati dalla fitta rete di strade che le percorrono. Ci sono gli sterrati che un tempo utilizzavano i pellegrini della Via Francigena, l’asfalto che collega città e nazioni, e i tantissimi chilometri di strade militari che, se una volta erano vitali per spostare cavalli e cannoni verso le postazioni in alta quota, ora con il loro fondo battuto e le pendenze mai estreme sembrano essere perfette per farci girare i copertoni tassellati di una bicicletta gravel. Con in più il bonus, non così comune lungo l’arco alpino, di avere una ferrovia che percorre tutto il fondovalle da Torino a Bardonecchia, così da rendere il treno il compagno perfetto al quale affidare la logistica degli spostamenti, lasciando l’auto a casa.
E poi c’è la magia delle terre alte e dei boschi di larici, universi paralleli dove sono sufficienti un paio di chilometri per sentirsi di colpo soli in mezzo alla natura e al silenzio: se al mattino si è immersi nel frastuono della stazione di Porta Nuova a Torino, la Val di Susa ti permette nel giro di qualche ora di ritrovarti a pedalare su una strada sterrata a oltre 2.000 metri, in compagnia dei gipeti che volano altissimi sfruttando le correnti termiche e degli stambecchi che brucano pigramente su qualche terrazzo erboso tra i pendii rocciosi e scoscesi della montagna.
La nostra esplorazione valsusina parte dalla stazione di Avigliana, nel punto in cui, dalle colline di Torino, la pianura padana si restringe e inizia a farsi valle risalendo tra i monti. Da sempre Avigliana è la porta che introduce alla Val di Susa, tanto che fin dall’epoca romana era il luogo in cui si riscuotevano i dazi sulle merci in transito verso la Gallia.
Anche noi, in bici, dovremo pagare la nostra tassa per entrare in valle: è la salita asfaltata che porta a uno dei monasteri simbolo del Piemonte, la Sacra di San Michele o, per tutti i torinesi, semplicemente la Sacra. Dicono che proprio alle sue navate a picco sulla cima del Monte Pirchiriano Umberto Eco si sia ispirato per ricostruire l’abbazia benedettina in cui sono ambientate le vicende de Il nome della rosa.
La successiva discesa vi dà modo di rifiatare, il riscaldamento è stato fatto. I venti chilometri di pianura successivi passano in fretta lungo le stradine della Ciclovia Francigena, che permettono di pedalare al riparo dal traffico, e su cui gli enti locali stanno investendo molto.
Arrivati nei pressi di Meana compare il cartello più atteso, quello che ci fa tirare un grosso respiro, come a fare spazio nei polmoni per tutta l’aria che servirà nelle prossime ore: Colle delle Finestre, 18 km. I chilometri da percorrere in salita sono lì, scritti bianco su blu. I metri di dislivello, invece, sono facili da calcolare: 1.700, quasi la metà su fondo sterrato.
Borracce piene e maglie aperte, si comincia a salire in modalità risparmio energetico, cercando di lasciarci alle spalle il caldo che attanaglia il fondovalle. Per una volta il tratto più ripido è tutto a inizio salita: solo qualche tornante è al 14%, poi il resto è costantemente, scientificamente al 9%. Una sorta di regalo non voluto ai ciclisti da parte degli ingegneri militari che progettarono questa strada a fine Ottocento.
Le gravel moderne, più pesanti ma anche più comode, scorrono bene sui trentatré tornanti e dopo qualche ora dal culmine della salita ci si può affacciare sulla Val Chisone, a patto di essere fortunati: spesso il caldo estivo spinge quassù l’umidità del fondovalle e immerge il colle in una fitta nebbia. Di fianco al cartello – come tanti altri ricoperto di adesivi – c’è una fontana e, poco più in là, una statua con il busto di Danilo Di Luca, primo nel 2005 a scollinare qui.
Le gravel moderne, più pesanti ma anche più comode, scorrono bene sui trentatré tornanti e dopo qualche ora dal culmine della salita ci si può affacciare sulla Val Chisone.
A dire il vero un omaggio invecchiato non poi così bene negli anni successivi.
L’asfalto sul versante della Val Chisone è perfetto. A discendervi in presa bassa scorrono alla mente le immagini della discesa indiavolata di Froome di quel 25 maggio 2018. Si arriva da queste parti a pomeriggio inoltrato, quando molti turisti sono già rientrati verso casa. Così se vi ritroverete soli su questi tornanti, godeteveli tutti mentre sfrecciate in mezzo ai pascoli punteggiati di placide mucche. Poi, nelle curve verso sinistra, prendetevi il tempo di alzare lo sguardo verso la piramide che sovrasta le Finestre: è il Français Pelouxe, e se siete anche scialpinisti sicuramente vi verrà voglia di tornare qua in un’altra stagione.
Se si pensa a quali caratteristiche dovrebbe avere una strada per esaltare le qualità di una bicicletta da gravel – e forse anche darle un senso… – è curioso concludere che si tratta, in molti delle casi, delle stesse qualità richieste in passato alle infrastrutture che servivano a muovere mezzi ed eserciti tra le montagne. Fondo sterrato, pendenze sempre contenute, una visibilità ottimale sulle valli circostanti: la strada del Colle dell’Assietta ha tutto questo. Del resto la sua realizzazione la si deve proprio alla necessità tattica di servire le fortificazioni da cui, all’inizio del XX secolo, si pensava di poter sorvegliare tanto quello che succedeva sulle montagne della Val Chisone e del Briançonnais quanto quello che riguardava le dirimpettaie della Val di Susa. A tiro di schioppo, letteralmente.
I chilometri dell’Assietta vera e propria sono poco più di una trentina. Dai prati sotto la Cima Ciantiplagna si sale fino a raggiungere la dorsale che, pressoché su un filo di cresta continuo, porta fino al monte Triplex, da cui in inverno si arriva con gli impianti di Sestriere e Sauze d’Oulx.
La imbocchiamo al mattino, subito dopo colazione. Siamo nel momento giusto dell’estate, quello in cui i prati in quota sono fioriti e il verde è accompagnato da mille altri colori. Nei tratti in piano lo sterrato è veloce, a testimonianza della buona manutenzione che viene fatta annualmente.
Nei pressi della Testa dell’Assietta un obelisco commemora il luogo dove, nel luglio 1744, seimila soldati sabaudi si opposero a un numero triplo di avversari francesi, mantenendo salda la posizione. Noiàutri i bogioma nen da sì – noi altri non ci muoviamo da qui – esclamò il comandante sabaudo per incoraggiare le truppe. Oggi, due secoli dopo, i piemontesi sono ancora conosciuti per essere quelli cocciuti, che non si schiodano dalla loro posizione: i bogianen, appunto.
Le salite dell’Assietta si alternano ai piani con morbidezza, la strada infatti segue fedelmente il filo di cresta da cui si dominano le valli circostanti. Sestriere è lì, circondata dalla Val Troncea e dalla Valle Argentera, dove nel 1944 l’aereo americano Miss Charlotte si schiantò mentre andava a rifornire i partigiani del Cuneese. C’è il Monviso, su cui non serve spendere parole, e un po’ più in là il suo sosia in terra francese, il Pic de Rochebrune; lo Chaberton, su cui rimangono i resti della fortificazione più alta d’Europa; le montagne dei Re Magi – le punte Melchiorre, Baldassarre e Gaspare – che dominano Bardonecchia, un pezzo di Dolomiti (la roccia è la stessa) trapiantato nell’estremità occidentale d’Italia; il selvaggio gruppo degli Ambin e, più in là, il Rocciamelone, la cui cima, secondo una leggenda, venne raggiunta per la prima volta da un uomo nel 1358.
La discesa su Sestriere ci sbalza di colpo nel traffico di una località turistica in piena estate, ma è un disturbo che dura poco. Dopo pochi chilometri di statale si sterza decisi verso i Monti della Luna, a cavallo di Clavière e Monginevro. La Capanna Mautino è il posto giusto per una fetta di torta, specialmente se si è sciatori. Questo storico rifugio è stato costruito dallo Ski Club Torino, fondato nel 1901 da un gruppo di appassionati pionieri dello sci. Il loro padrino, Adolfo Kind, un imprenditore elvetico trapiantato a Torino, nel 1896 fu il primo a farsi spedire dalla Svizzera un paio di sci – allora si chiamavano ancora ski – per darne dimostrazione di uso pratico dapprima nel salotto e nel giardino di casa, poi sui dossi innevati del Parco del Valentino e sui declivi urbani del Monte dei Cappuccini, infine sulle pendici del Monte Cugno dell’Alpet, tra la Val Sangone e la Val Chisone.
Attraversiamo il confine con la Francia, che è solo una riga sulla cartina: le montagne e le persone sono sempre le stesse. Del resto, da metà Trecento fino alla Rivoluzione francese, per quattro secoli qui vigeva la Repubblica degli Escartons, una comunità che si estendeva su un territorio di cinque valli, di qua e di là dello spartiacque alpino, e che godeva, per concessione dei Re di Francia, di alcuni privilegi politici e fiscali. Insomma, una sorta di prototipo di realtà transfrontaliera, una specie di piccola Unione Europea arrivata con secoli di anticipo.
La Val Clarée, con i suoi rettilinei immersi nelle conifere, è il modo migliore per concludere la giornata e rilassare le gambe prima della salita verso il Col de l’Échelle, o Colle della Scala a dir si voglia. La vista sulla Guglia Rossa e la Valle Stretta al tramonto, mentre si percorrono i tornanti che scendono verso Bardonecchia, valgono il prezzo del biglietto.
Quando da Bardonecchia si percorre la stretta strada provinciale che porta alla frazione di Rochemolles non è facile rimanere indifferenti alle pareti rocciose che incombono sulla stretta valle laterale che fa da propaggine alla conca in cui termina la Val di Susa. Non è un caso se questo piccolo borgo sia nato in un luogo così impervio: la sua fondazione, infatti, si deve a una banda di briganti saraceni, che, intorno all’anno Mille, provenienti dall’Africa nord-sahariana e dalla Spagna araba, infestavano le coste della Provenza e della Liguria e si spingevano facendo razzie nell’entroterra fino alle valli alpine.
Se sull’Assietta si era in cima alle montagne, qui si è ospiti nel loro ventre: intorno ci sono cime alte oltre 3.000 metri e, più in là, spunta anche il massiccio degli Écrins, che culmina con i 4.102 metri della Barre. Nomi più conosciuti agli alpinisti che ai ciclisti, ma potrebbe essere sufficiente aggiungere un dettaglio per richiamarli alla memoria. Ancora una manciata di chilometri e si è arrivati alla diga, da cui comincia un tratto in piano da percorrere tutto d’un fiato: è la Decauville, così chiamata perché in origine creata per far correre il trenino di servizio per i lavoratori della diga, appunto di tipologia decauville.
Giusto il tempo di cominciare a godersi la festa che poi tocca ricominciare a menare. La salita che porta al Forte Föens è a doppia cifra per un tratto considerevole, e il caldo in estate qua si fa sentire. Siete all’interno di quella che è conosciuta come oasi xerotermica: un’area in cui la temperatura media è più alta che nel resto della valle, cosa che se da un lato può renderla interessante agli appassionati della flora alpina, dall’altro la rende quantomeno scomoda a chi ci deve pedalare sotto il sole.
Come molte altre fortificazioni in zona, anche quella del Föens fu uno spreco di risorse e mezzi, tanto che durante la Prima guerra mondiale i suoi cannoni furono smontati e trasportati verso il Fronte Orientale. Poco male, l’eredità che ci è stata lasciata è la strada che taglia i ripidi fianchi della montagna, fino all’ansa da cui fa capolino il vero motivo per cui siamo arrivati fin qui: le formazioni calcaree del Monte Seguret che danno vita alle Grotte dei Saraceni. Si dice, infatti, che nel cuore di questa montagna i briganti vi nascondessero i tesori razziati, anche se non se ne è mai trovata traccia. Quello che è certo, invece, è la presenza dell’omonima galleria militare, costruita per evitare le pareti e abbreviare la strada. Percorrerla in bici è un’esperienza particolare: completamente al buio per quasi un chilometro, al suo interno la temperatura cala di parecchi gradi e il gocciolio delle infiltrazioni è pressoché costante.
Lasciato alla spalle anche il Forte Pramand, ora sul menù è prevista una sessione che metterà a dura prova la tenuta di mani, braccia e spalle: oltre 1.200 metri di discesa su sterrato, una picchiata su un fondo al limite per una gravel, fino al fondovalle di Salbertrand. Sul muro di contenimento di un tornante la scritta DUX è soltanto una memoria di tempi oscuri, e passarci davanti noncuranti, fischiettando in bicicletta, è forse il modo migliore per dissacrarla.
Si saluta l’alta valle con il Forte di Exilles, per secoli guerresco fortilizio posto a guardia di una strettoia dell’alta Valle di Susa, che oggi è un bellissimo esempio di riconversione di un luogo storico a struttura museale contemporanea. Il terrapieno erboso del forte da qualche anno ospita Il Terzo Paradiso, opera di land-art di Michelangelo Pistoletto: la rielaborazione del segno matematico dell’infinito, a cui è stato aggiunto un terzo cerchio centrale, disegnata dalla piantumazione di migliaia di lavande di montagna. Nell’intenzione dell’artista, l’opera, spettacolare nei momenti di fioritura, simboleggia un messaggio di ritrovata e pacificata armonia dell’uomo con l’ambiente e la natura.
Avvicinandosi a Torino c’è ancora modo di dare un senso al fascio di strade che caratterizza la bassa valle. Superata Almese si imbocca la pista tagliafuoco del Musiné, una delle cime più vicine a Torino e anche una dalle storie più particolari. Da sempre, infatti, il posto è permeato da un'aura esoterica che nessuno ha mai voluto smentire fino in fondo, probabilmente per una questione di folklore. Una tradizione, senza conferme certe, vuole che qui, intorno al 311 d.C., Costantino il Grande ebbe l’apparizione di una croce fiammeggiante che riportava la scritta In hoc signo vinces – vincerai sotto questo segno – e che determinò l’avvicinamento dell’imperatore romano al Cristianesimo; si dice che da queste parti, nel Medioevo, le streghe si dessero convegno per raccogliere erbe magiche; negli anni Ottanta del secolo scorso, invece, due ragazzi riportarono segni di congiuntivite dopo aver visto sbarcare degli alieni, e anche in seguito, altri escursionisti riferirono di aver assistito di notte al fenomeno dei fuochi fatui.
Probabilmente in bici si procede troppo rapidamente perché apparizioni e magia nera possano catturare un ciclista. È invece un vero piacere incontrare le tante persone che ormai considerano quest’area come una specie di propaggine dei parchi cittadini torinesi. Attraversata la Dora Riparia per l’ultima volta rimane una casella da spuntare, prima di risalire sul treno senza rimorsi: la collina morenica di Rivoli, che con le sue strade forestali conduce fino a un altro luogo in cui le epoche storiche giocano a sovrapporsi l’una con l’altra.
Il Castello di Rivoli per secoli è stato una splendida dimora sabauda che domina la pianura torinese da un lato e la Val di Susa dall’altro. Dato alle fiamme dai francesi, venne restaurato e riutilizzato come caserma, infine abbandonato a se stesso. Poi, alla fine del Novecento, sono stati avviati i lavori di ripristino che l’hanno trasformato in uno dei principali musei di arte contemporanea in Italia. Gabriele Basilico, Maurizio Cattelan, Lucio Fontana sono solo alcuni dei nomi degli artisti le cui opere sono custodite nella spettacolare reggia.
Torniamo ad Avigliana dopo quasi trecento chilometri percorsi, se avete scelto di fare il giro completo senza utilizzare la ferrovia. Se vi resta ancora un po’ di voglia di pedalare si potrebbe scendere a Torino e visitarla: una gravel dopotutto può fare comodo sul pavé del centro. Se invece avete ancora qualche giorno, si potrebbero lavare calze e magliette, riempire le borracce e ripartire. Le montagne intorno alla Val di Susa sono solo una piccola parte di quelle che circondano Torino. Si potrebbe andare verso Sud, verso il Monviso e le Alpi Marittime, attraversarle e arrivare al golfo di Nizza. Oppure dirigersi a Nord, dove il Piemonte tocca la Val d’Aosta e le cime sono ancora più alte. Insomma, di chilometri da fare ce ne sono abbastanza per avere sempre una scusa per ripartire con la propria bicicletta senza quasi mai uscire dal Piemonte e comunque ritornando sempre a casa. Del resto siamo ciclisti, ma prima di tutto bogianen.
Tipologia di bici
Gravel
* informazione Publiredazionale
Testi
Federico Ravassard
Foto
Federico Ravassard
Hanno pedalato con noi
Charlotte Kohll, Natalia Melatti
Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 2, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 12 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.