Enjoy the silence

Il grande anello dei colli Friulani.

Periodo consigliato

Apr - Nov

Dislivello Totale

7.373 m

Lunghezza totale

360 km

Durata

4/6 Giorni

C

erco il Friuli in bicicletta. Voglio il cielo, ammiro lo spazio con la sua profondità, bramo il verde e sono goloso di cibo. Ascolto gli animali e la natura selvaggia, cerco la solitudine in bici. È il Friuli, e questo è ciò che troverete all'interno del mio viaggio. Cerco la giornata giusta: all’indomani di un bel temporale estivo o quando l’afa è stata portata via da le bore. La giornate perfetta, come è successo a me quest’estate, quando osserverete il cielo e vi stupirete da soli nell’esclamare: Ah, però! Il Friuli!

Enjoy the silence

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Intro

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Da Udine a Cividale

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Il Kolovrat e le Valli del Natisone

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L’alta Val Torre

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Tra Tagliamento e Arzino e i colli di San Daniele

Che terra: è qualcosa che non smette di meravigliare. L’ho girata in lungo e in largo e la pedalo ormai da diversi anni, ma ogni volta è una scoperta. Per staccare un po’ dalla quotidianità del mondo delle corse ho deciso, tra la fine del Giro e l’inizio del Tour, di organizzare una quattro giorni in bicicletta lontano da tutto ciò che è routine. Ho deciso di dedicare quattro giorni a me stesso – ma è un viaggio che si può fare anche in cinque o in sei: dipende dai gusti, dalle gambe, dal tempo a disposizione – al cielo friulano, ai panorami che non ti lasciano altra scelta che fermarti a un tornante e guardare fin dove arriva l’orizzonte. Tempo per scrutare quegli scorci che diventano cari a chiunque viva qui e a chiunque sia di passaggio. Per non dimenticare quei luoghi che, ogni volta che li vedi, ti danno una sensazione diversa, agli occhi e al palato. Ho deciso di dedicare tempo al silenzio interrotto solo da qualche animale, alla curiosità verso la segnaletica bilingue, friulano-italiano o, più spesso, nei luoghi di confine veri e propri, italiano-sloveno.
Ho deciso di prendermi una pausa da tutto, e il modo migliore è farlo in un posto che racconta testualmente: «Hai voglia di stare lontano da tutto, di farti i fatti tuoi, di mangiare bene, e bere, se possibile, ancora meglio? Questo è il posto che fa per te, questo è il Friuli».

Luoghi

Udine

Il Collio

Cividale del Friuli

Le Valli del Natisone

Gemona del Friuli

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Da Udine a Cividale

Il menù del giorno l’ho scelto leggero. Non parlo di cibo, o meglio, di quello parlerò poi. Parlo della traccia. Per unire il capoluogo friulano alla piccola cittadina quasi al confine con la Slovenia, ho scelto un percorso che mi portasse in mezzo ai vigneti, mi facesse sconfinare in quella che qui, spesso, chiamano ancora Jugoslavia, mi facesse salire verso il passo di San Nicolò per arrivare al Santuario di Castelmonte e poi giù in picchiata fino a Cividale.
Parto bello carico. Di caffeina. Consiglio a tutti, iniziando il proprio giro da Udine, di passare per il centro. La mattina presto significa scegliere con tranquillità un qualsiasi bar tra piazza San Giacomo e la Loggia del Lionello, guardarsi intorno e notare quanto in un capoluogo ancora a misura d’uomo ci sia di Veneto, cadenza inclusa, nelle signore udinesi. Attraversate con cautela le vie in lastricato e guardate il cielo.

Si dice che Giambattista Tiepolo, grande pittore settecentesco, avesse imparato a dipingere i suoi formidabili cieli dopo aver osservato a lungo quello friulano.

Lo spettacolo che ho davanti agli occhi è proprio la spiegazione di certi suoi affreschi. C’è una brezza niente male, che mi sospinge lieve fuori dalle mura cittadine. Pradamano, Manzano, Buttrio: li attraverso percorrendo la pista ciclabile che mi porta verso una strada che taglia dentro le prime zone del Collio. Distese di terra adagiate su colline ricche di vigne: castelli, grandi ville da fotografare e un agriturismo dietro l’altro, che quasi ci si sente in colpa a non fermarsi ad assaggiare un bicchiere di vino. 
Usciti da Cormòns, si viaggia spediti in pianura verso la Slovenia. A San Floriano del Collio iniziano i primi strappi per arrivare a Ceglo e Medana dove, in cima alla salita, sembra di vedere tutto il mondo.
Da qui si torna in Italia, prima imboccando una velocissima discesa e poi attraversando una strada che mi fa viaggiare verso il vecchio confine, un tempo battuto dai transfrontalieri. Mi fermo da una signora che sta davanti al vecchio edificio della dogana a vendere albicocche e ciliegie. D’autunno la trovi, credo sia sempre lei, con cestini pieni di castagne e porcini. 
Rientro in Italia e, quando leggo un cartello con scritto Prepotto - Benvenuti nel paese dello Schioppettino, all’improvviso mi viene sete di qualcosa di diverso dalla solita borraccia con sali e zuccheri. Potrei finalmente fermarmi a bere un taj di Schioppettino, ma uno tirerebbe l’altro e c’è ancora un pezzo di strada da fare. Conviene allora tenersi il meglio alla fine, quando si arriverà a Cividale. 

Ciclostorie
Storia 01

Una regione-vigneto

Prepotto sta in mezzo ai vigneti. Attraverso il Ponte dello Schioppettino, passando sopra lo Judrio, che scorre spumeggiante. Oltre Albana la strada comincia a poco a poco a salire, tranquilla e verdissima.

Non ci sono auto, ma giusto qualche ciclista che mi passa a doppia velocità e un piacevole vento a rinfrescarmi. Poi, da Podresca, la salita si fa più seria: è quella del Passo di San Nicolò, cinque chilometri mica male. Un cartello indica una media sopra l’8%, con punte massime del 12%, ma in realtà il mio ciclo-computer a tratti segna il 14%. Tornante dopo tornante, caldo e fatica sono ripagati dallo spettacolo. Da alcuni scorci vedi il mare, da altri vedi lassù in alto il Santuario di Castelmonte. Arrivato in cima, dove al Giro del 2022 vinse l’olandese Koen Bouwman, mi godo la merenda in uno dei ristoranti: strudel alle ciliegie e sambuco, tutta roba raccolta da noi, mi viene specificato.
Rimontato in sella, ultima discesa di giornata, direzione Cividale, cuore della civiltà longobarda.
Dopo uno sguardo al fiume Natisone e al Ponte del Diavolo, e dopo aver cercato un posto dove dormire, arriva il momento che aspettavo: un piatto di gnocchi (a seconda della stagione, chiedeteli di zucca, di castagne, di radicchio…) e un bicchiere di Schioppettino, per poi chiudere con strucchi e gubana, accompagnati da un bella grappa. La fatica si manda giù anche così.

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Il Kolovrat e le Valli del Natisone

Il Kolovrat è esattamente come la gente del Friuli: duro, quasi tagliente, ma quando lo scali e arrivi in cima, ti accoglie e regala una vista mozzafiato oltre il confine. Le Valli del Natisone hanno nomi slavi e friulani, che suonano come un vecchio racconto di paura. La sete, da quelle parti, non ti può mai assalire. C’è acqua ovunque, stagione fortunata, e le fontanelle sono sparse lungo tutto il percorso. 
Si parte da Cividale e vi consiglio di fermarvi in qualche panificio o pasticceria, ordinare strucchi e gubana (dopo aver fatto un bel carico di energia per la tappa in programma) e farvi fare un pacco da spedire a casa di amici e parenti: vi ringrazieranno per tutta la vita. 
Uscendo da Cividale la strada è sempre ben asfaltata, il panorama sazia gli occhi, soddisfa la mente e fa volare la fantasia.

Dietro alle prime colline c’è il confine e salendo, oltre gli ultimi vigneti, la vegetazione inizia a farsi bosco fitto di castagni: d’altra parte questa è La strada delle Castagne e del Miele.

Sono dolci salitelle, preludio a quello che mi aspetta dopo il bivio per Clodig: l’ascesa al Kolovrat. Prima, però, dove la strada per un po’ spiana, si attraversa un paesino che pare fantasma e che porta un nome meraviglioso: San Volfango. La salita è dura, ma se non altro avrete tutto il tempo per guardare quello che vi sta attorno: la strada attira e ispira, le fattorie vi strappano un sorriso. Dopo la prima parte impegnativa, l’ascesa diventa pedalabile e, prima degli ultimi chilometri, si torna a rifiatare. Al bivio verso Drenchia, anche se la tentazione di cambiare strada è forte, ecco il primo tratto duro.
Arrivati al Rifugio Solarie, fontanella dove riempire l’acqua o, in alternativa, una breve pausa per ordinare qualcosa da mangiare. L’ultimo tratto è senz’altro quello più evocativo, ma spacca le gambe. Che qui ci sono passati i corridori veri, te ne accorgi dalle scritte sull’asfalto. Quelle dedicate a Novak e a Mohoric, campioni locali, sono le più gettonate. Un ultimo chilometro in doppia cifra e non serve aggiungere altro, se non che sembra di andare su a passo d’uomo. 
Si scende dal versante sloveno, quello che in salita fa malissimo alle gambe. Si rientra in Italia attraversando di nuovo il verdissimo solco scavato dal Natisone. Si sale ancora, verso Canebola: anche questa salita è dura, ma se fatta col ritmo giusto non impedisce di gustarsi tutto il panorama. Cima e poi picchiata verso Faedis, dove ci aspetta una meritata cena – tra le specialità locali, ordinate del frico e non sbaglierete mai – e una stanza per dormire.

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L’alta Val Torre

Altimetricamente parlando, ci attende il giorno più difficile. La traccia sembra ricalcare il finale di una grande classica delle Ardenne, con la differenza che in Belgio un frico come quello che ho mangiato da queste parti se lo possono solo sognare! 
Si riparte da Faedis, un altro di quei nomi che sembrano uscire direttamente dai boschi e qui, di boschi, ce ne sono a perdita d’occhio. C’è tanto dislivello, oggi, ma tutto è diluito lungo un continuo su e giù in mezzo a selve dall’apparenza un po’ arcigna e minacciosa, ma che, quando ci sei in mezzo, invece di incutere timore invogliano a salire, a salire sempre di più. 
La strada, che per il primo tratto ripercorre all’incontrario l’ultima porzione dell’itinerario del giorno precedente, s’innalza subito, quando siamo ancora in paese. In via dei Castelli le case a destra e sinistra iniziano a scomparire come in un sogno e tutto il contorno si trasforma in alberi. Sono sette i chilometri, impegnativi, che portano a Canebola. Gestitevi: la salita è esposta al sole, l’asfalto rugoso. Quando arrivi al paese sembra tutto finito, ma in realtà si sale ancora; qualche tornante dove rifiatare e poi un drittone di quelli che ti rimangono nelle gambe. 
Salgo fino in cima e, alla Bocchetta di Sant’Antonio, raggiungo l’idillio. C’è la solita vastità di panorama che rende celebri quasi tutte le montagne friulane: vedo il Monte Canin, una delle cime più note della regione, da una parte, ed esattamente dal lato opposto la pianura, con Udine che si staglia verso la Bassa friulana, e poi il mare. In una giornata particolarmente fortunata, guardando verso Sud-Est, si vede anche il Golfo di Trieste. 

Proseguo. La strada che porta al bivio di Porzûs si fa tortuosa; cespugli di more e di sambuco quasi invadono la carreggiata e sembrano braccia protese nel tentativo di cercare di strapparti via dalla bici. L’asfalto è a volte incerto. La traccia sale e poi scende nuovamente, fino alla biforcazione che dice a sinistra Attimis, a destra Prossenicco. Il mio itinerario spinge a destra, ma prima un consiglio: se vi è venuta fame, e voleste fare una piccola deviazione, scendendo verso Borgo Salandri trovate una nota trattoria. Ecco, se vi fidate di un friulano, da Barbe Blas si mangia un frico che non dimenticherete. Tornati sulla nostra traccia, per arrivare a Prossenicco, in un pomeriggio di mezza estate non troviamo auto, ma solo qualche ciclista, un mezzo agricolo carico di legna, un capriolo di cui sentiamo prima il rumore che spezza il silenzio assoluto tutto intorno e poi ne vediamo la sagoma sfuggente. Dopo un continuo saliscendi, tutto sommato sopportabile per le mie gambe, ecco spuntare Prossenicco, uno dei punti caldi del nostro viaggio, piccolo villaggio in mezzo al verde intenso di queste colline. Appena entrati, ecco un punto di ritrovo per ciclisti, nato come riferimento per chi volesse avventurarsi in mountain-bike lungo i tantissimi sentieri della zona. 

Ciclostorie
Storia 02

La cucina nera di Prossenicco

«Una volta – mi racconta un signore del posto –, ai tempi della Guerra Fredda, qui non potevi nemmeno scattare una foto o guardare dall’altra parte della vallata con un cannocchiale, che ti sparavano». Per fortuna oggi non è più così e qualcuno ti indica, vicinissimo in linea d’aria, il villaggio di Robidišče, il paese più a Ovest della Slovenia.

Ora a Prossenicco ci abitano una dozzina di persone – anche se «un tempo si è arrivati a qualche centinaia!», come tiene a precisare il mio interlocutore locale – che per fare la spesa o andare nella sede comunale di Taipana, si devono fare diversi chilometri. C’è però un agriturismo dove, manco a dirlo, si mangia e beve divinamente. 
Dopo Prossenicco non c’è un metro di pianura. Si sale e si scende continuamente attraversando Platischis, Campo di Bonis, Taipana. Poche auto e, tutto intorno, natura rigogliosa. Fate attenzione alle discese: sono ripide, anche se l’asfalto, tranne qualche rara buca, è ottimo. I panorami, quando si scollina in cima, sono sempre mozzafiato. Dopo la discesa che attraversa Taipana, al bivio si gira a destra e si ricomincia a salire costeggiando il Cornappo, fino a Monteaperta, con le cime delle Prealpi Giulie dapprima messe nel mirino del manubrio e poi ad accompagnarci sul nostro fianco destro.
Inizia di nuovo un mangia-e-bevi: Villanova, con le sue grotte, Chialminis e Ramandolo, dove si produce uno dei vini più famosi del Friuli. L’ultima fatica è il Monte Stella, dove qualche stagione fa Andreas Leknessund vinse il Giro del Friuli, staccando tutti in mezzo al bosco. 
La strada scende fino a Montenars, prima di intraprendere l’ultimo strappo per entrare nel meraviglioso centro storico di Gemona. Ora sì che è il tempo di mollare la bici e trovare un posto dove godere di tutte le endorfine accumulate dopo la pedalata di giornata, che ci ha portato dai confini della Slovenia fino alle rive del Tagliamento. Per ristorarvi a dovere cercate una trattoria dove preparano l’ocikana, gnocchetti di polenta conditi con burro e formaggio. Ma qualsiasi altro piatto saprà soddisfarvi: in generale, è difficile in Friuli rimanere delusi dal cibo, soprattutto innaffiando tutto con del buon vino.

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Tra Tagliamento e Arzino e i colli di San Daniele

In Friuli le cose se si fanno, si fanno bene. Qui vige una seria e rigorosa cultura del lavoro e allora, al quarto giorno, qual è il programma? Continuare a salire. Si parte da Gemona e si tira dritti verso Trasaghis, appena oltre il ponte sul Tagliamento, fino al cartello che a sinistra indica Peonis. L’incrocio successivo immette sulla via che costeggia la sponda destra del fiume e può essere considerata, a tutti gli effetti, la strada dei ciclisti per eccellenza: non è un caso che si chiami via Ottavio Bottecchia. Dapprima sembra un largo stradone che non par vero possa essere così poco battuto dalle auto, un drittone dove, se si è in compagnia, ci si può pure sbizzarrire facendo alta velocità con cambi quasi in doppia fila. Superato un cavalcavia, con il Tagliamento che scorre sulla sinistra e la montagna rocciosa che ti osserva sulla destra, la carreggiata si stringe e inizia un leggero saliscendi.

Due soste sono obbligatorie: la prima, a bordo strada lato fiume, davanti al monumento dedicato alla memoria di Bottecchia, una grande ruota e un manubrio stilizzati sopra un cippo (vedi box); la seconda, sulle sponde del lago di Cornino, un piccolo e meraviglioso specchio d’acqua color verde smeraldo.

Ma il quasi innaturale colore del lago non è l’unica attrazione del posto: se alzate lo sguardo verso l’alto, fra le rocce della montagna, vi può capitare di vedere volteggiare dei grossi uccelli. Sono grifoni ma, tranquilli, non stanno cercando voi. Nella Riserva Naturale del Lago di Cornino da un po’ di anni è stato creato il Progetto Grifone, per la conservazione della specie di questi singolari rapaci, simili agli avvoltoi. 
Terminata la breve sosta avifaunistica, è il momento di ripartire e pedalare, per una delle ultime fatiche: la salita più lunga che affronteremo, ovvero il Monte Prat, che da queste parti è una palestra per cicloturisti, ma anche corridori in erba. Presa dal paese di Sompcornino, l’ascesa che porta ai circa 800 metri del monte è un piacere da pedalare. Non è troppo lunga, né troppo dura e dopo la metà i tornanti si aprono come finestre su tutto il Friuli Venezia Giulia. In cima c’è un altipiano e, proseguendo verso Nord, inizia il giro che porta giù verso Vito d’Asio, con il Monte Cuar sullo sfondo. Il paesaggio è bellissimo e, all’ora giusta, lungo queste strade è possibile vedere ancora più da vicino i grifoni volare. Si scende dall’altipiano con una picchiata che, superata Località Zopiet, attraversa uno splendido bosco di faggi – fate attenzione: la strada a tratti è un po’ sconnessa – che si alterna a distese di pascoli punteggiati da fienili. Ci fa da riferimento la mole del Monte Cuar, prima di fronte e poi, man mano che si scende, a destra, mentre sulla sinistra si avvicina il rumore scrosciante delle acque del torrente Arzino. Termina la discesa, ma non l’idillio con il paesaggio. La strada provinciale dell’Arzino porta dapprima a salire per Pielungo, quindi per Pradis di Sopra e, infine, di nuovo in discesa verso Vito d’Asio: strade poco trafficate, asfalto ben tenuto, boschi come incantati. 

Ciclostorie
Storia 03

Ottavio Bottecchia

Il viaggio sta per terminare, ma non prima di aver scalato il Monte di Ragogna da San Pietro, 4 chilometri abbordabilissimi e poi una ripida discesa di 2,6 chilometri con i tornanti al 16%, fino a Muris. 
Si arriva a San Daniele per la pausa che aspettavo: birra fresca e panino col prosciutto crudo. Se avete ancora tempo, invece del panino fatevi fare un tagliere. Non ve ne pentirete, anzi, prenderete lo smartphone per cercare case in affitto da queste parti, solo per mangiare ogni giorno San Daniele. 
Prima di arrivare a Udine per il finale, attraversiamo Fagagna, e poi Moruzzo, ancora salitelle ma con un premio in cima: la piazza di Moruzzo è infatti soprannominata la terrazza più bella sul Friuli. La vista è talmente ampia che abbraccia tutto il Sud della Regione. Ancora uno spuntino con San Daniele e formaggio di Brazzacco – oggi ho dato retta al palato più di altre volte, ma che ci volete fare? – e poi di nuovo discesa.
L’ultimo strappo prima di rientrare a Udine è il borgo di Santa Margherita del Gruagno. A Udine ci arrivo sano e salvo, lo spirito colmo e le gambe vuote. 
Mangiare, bere, girare il Friuli in bicicletta è stato un duro lavoro, ma per ora è toccato a me farlo. Spero che presto possa toccare anche a voi. Ne vale la pena.

Cose buone

Il frico

La gubana

Stak e gramperesa

Prosciutto e trote di San Daniele

Formaggio Asìno

Tipologia di bici

Road

Asfalto, a tratti non splendido, ma comunque sempre asfalto. Una destination da pedalare su bici da corsa, con copertoni comodi e resistenti.

Bici

Pinarello X

Materiali specifici e geometrie innovative creano un perfetto bilanciamento tra reattività, prestazioni e comfort: Pinarello X con copertoni da 32 mm è la nostra scelta per questo itinerario, dove avventura e performance si fondono perfettamente.
pinarello.com

Borse

Brooks Scape

La traccia è abbastanza lunga e il clima può cambiare, perciò saranno necessari parecchi vestiti e accessori: il nostro consiglio è di utilizzare un kit completo di borse da bikepacking Brooks.
brooksengland.com

* informazione Publiredazionale

Testi

Alessandro Autieri

Foto

Giovanni Danieli

Hanno pedalato con noi

Enrico Mosetti, Ylenia Sabidussi

REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 2, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 12 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.

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