La valle dei segni

Far perdere le proprie tracce in Alta Valcamonica.

Periodo consigliato

Apr - Ott

Dislivello Totale

6.746 m

Lunghezza totale

504 km

Durata

3/5 Giorni

N

on ci sono molti luoghi ancora così vergini e ricchi di sorprese, per chi pedala, come la Valcamonica. Non è facile imbattersi ancora, nell'era della condivisione totale e della tracciabilità capillare, in strade pochissimo conosciute e valicare passi quasi nascosti, come in questa Valle dei segni.

La valle dei segni

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Intro

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Maniva e Crocedomini: laghi, formaggi e antiche strade militari

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Vivione e Ponte di Legno: i silenzi delle Dolomiti di Scalve e la magia dell’Adamello

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L’Oglio come faro, la Pianura padana come destinazione

La valle che risale il fiume Oglio, da Brescia a Ponte di Legno, percorsa a zig-zag tra le due province, i cui capoluoghi – Brescia, appunto, e Bergamo – sono quest’anno, congiuntamente, Capitale Italiana della Cultura, è invece un forziere naturale in attesa di essere scoperchiato. 
Se molti cicloamatori hanno percorso il passo del Crocedomini, pochi lo hanno raggiunto dal giogo del Maniva, percorrendo una vecchia tradotta militare in gran parte sterrata. Se quasi tutti hanno ben presente cosa sono le Prealpi Orobie, a molti sfugge invece l’appellativo Dolomiti di Scalve, la zona ai piedi della Presolana e del Vivione. Se Ponte di Legno fa per tutti rima con Gavia, Tonale o persino Mortirolo, quanti hanno attraversato realmente i ponti – quelli sì, in vero legno – della stupenda ciclovia dell’Oglio, paradiso delle due ruote? Chi ne avrà seguito il corso naturale fin quasi al suo confluire nel re dei fiumi, il Po?
E così noi ci siamo invece avventurati proprio lì. Alla ricerca di queste strade perdute, come direbbe David Lynch, e anomale. Fuori cioè dalle mappe classiche e dai percorsi consueti. In Valcamonica siamo andati a far perdere le nostre tracce, paradossalmente, proprio per riportarvele.
Dal Maniva abbiamo raggiunto il Crocedomini, si diceva. Dal Vivione siamo andati a perdifiato fino a Ponte di Legno e poi giù in picchiata fino alle torbiere del lago d’Iseo, fino alla Franciacorta coi suoi vigneti spumeggianti, al Mantovano e al Cremonese. Tutto è stato degno di nota. Tanto che viene persino difficile riassumerne ora qui, in poche righe, emozioni e sensazioni.

Con il ritmo giusto per godersi tutto, il paesaggio cambia continuamente e, con esso, le tradizioni, le culture e i profumi. Forse è per questo che la Valcamonica è detta, appunto, la Valle dei segni.

Nulla è uguale a se stesso in questo che, a tutti gli effetti, è stato un viaggio nel tempo e nello spazio. Con il ritmo giusto per godersi tutto, il paesaggio cambia continuamente e, con esso, le tradizioni, le culture e i profumi. Forse è per questo che la Valcamonica è detta, appunto, la Valle dei segni. Il motivo principale è che le sue rocce conservano una delle più straordinarie testimonianze di incisioni rupestri, censite da anni nella Lista Unesco del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Ma è tutto l’insieme ambientale a lanciare dei segni al viaggiatore curioso. Basta saperli cogliere.

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Maniva e Crocedomini: laghi, formaggi e antiche strade militari

La stazione ferroviaria di Brescia ci accoglie con una folata di vento caldo. È il Föhn. Sono le prime ore del mattino, ma la temperatura è già alta in questo giorno di inizio estate. Gabriele mi guarda e mi indica la direzione: rapidi come gatti attraversiamo il centro storico della Leonessa. Superate piazza della Vittoria e piazza della Loggia, procediamo verso il Monastero di Sant’Eufemia, oggi sede del Museo della Mille Miglia. Quindi imbocchiamo la ciclabile che segue il Naviglio bresciano e poi il fiume Chiese. Si risale il corso d’acqua fino al lago d’Idro. Questa ciclovia è stata costruita recuperando un vecchio sedime ferroviario. Superata la sponda occidentale del lago, ci attende la prima scalata: il giogo del Maniva (1.669 m).

Ciclostorie
Storia 01

1976: la prima volta del Crocedomini al Giro

Non è facile imbattersi ancora, nell’era della condivisione totale e della tracciabilità capillare, in strade pochissimo conosciute e valicare passi quasi nascosti.

I primi 50 chilometri sin qui sono stati facili: piatti, regolari, chiacchierati e con occhi curiosi che si perdevano nel paesaggio. Ora davanti a noi ecco stagliarsi la rocca d’Anfo, un fortino del XV secolo posto a 700 m d’altezza. È il segnale che ormai ci siamo: alla nostra sinistra, ecco il bivio per il Passo Crocedomini e quello del Maniva. Da qui in avanti si parrà la nostra nobilitate.
L’ascesa ufficiale, a dir la verità, inizia a Bagolino.
Bagolino è un piccolo borgo abbarbicato tra i monti dell’alta Val Caffaro, noto soprattutto per il Bagòss, formaggio tra i più pregiati al mondo, che viene prodotto soltanto qui, con il latte delle vacche che vediamo pascolare in questi alpeggi. Facciamo la conoscenza di un produttore locale che ci invita ad andare a vedere le forme messe a stagionare. E ci mette in guardia: «Solo questo è l’autentico Bagòss, gli altri sono imitazioni!». Aggiunge che più invecchia, più diventa piccante: la stagionatura oltre i due anni richiede palati decisamente forti. Ne assaggiamo di tre età diverse: una più buona dell’altra. 
Corroborati da questa bontà, ripartiamo alla volta del Maniva. La salita si fa ora ripida, entra nel bosco e si attesta attorno al 10%, con punte anche superiori.

Durante la Prima guerra mondiale, il giogo del Maniva faceva parte del cosiddetto Sbarramento delle Giudicarie, una lunga linea fortificata, con tanto di trincee, che doveva difendere i confini italiani dall’Austria-Ungheria.

E, difatti, è un’antica strada militare quella che dal Maniva si congiunge, dopo 17 chilometri di saliscendi, al suo passo gemello: il Crocedomini. Prima di giungervi, però, ecco il punto più bello di tutta la tappa: il cosiddetto Dosso dei Galli, una sottile lingua (qui ancora di asfalto) che prosegue in quota tra i 2.000 e i 2.200 m. Fino al 1995 vi si trovava addirittura una vecchia stazione NATO. Il successivo tratto è invece sterrato, percorribile anche in bici da corsa ma con copertoni adeguati. È lungo in tutto 9 chilometri, anche se interrotto a metà da una breve sezione ancora asfaltata.
Posto a Sud del Parco dell’Adamello, il valico che si trova scritto anche nella versione staccata, Croce Domini, prende appunto il suo nome dalla Crux Domini, una croce in ferro battuto che fungeva da antico segnale di confine: da una parte i territori dominati della Repubblica di Venezia, dall’altra quelli del Principato di Trento. Siamo a 1.895 metri di quota. L’ultimo tratto di sterrato in discesa che porta al passo è impegnativo: ripido e dissestato. Affrontatelo con cautela. Dal rifugio Crocedomini, con le sue persiane rosse come quelle delle favole, ci attende solo discesa fino a Breno. E poi, finalmente, birra a fiumi.

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Vivione e Ponte di Legno: i silenzi delle Dolomiti di Scalve e la magia dell’Adamello

Cividate Camuno, 6 del mattino. Il secondo giorno inizia più presto del primo: più chilometri da percorrere e più dislivello da scalare. Due salite: la Croce di Salven (1.108 m) e poi il Passo del Vivione (1.828 m).
La giornata è splendida: più fresca di ieri, ma con un cielo terso e blu zaffiro, di quelli da quadro rinascimentale. Colazione abbondante: uova e formaggio della Valcamonica, borracce generosamente rabboccate, una con sali e l’altra con acqua. Controlliamo che il nostro bikepacking sia ben agganciato sotto la sella e sul manubrio e iniziamo a pedalare. 
La Croce di Salven è una salita in un certo senso banale: lunga ma pedalabile. Collega la media Valcamonica con la Val di Scalve, quest’ultima già in provincia di Bergamo. Si sale da Malegno e, dopo quasi 15 chilometri, superato l’abitato di Borno, si scollina. La discesa verso la Val di Scalve è piacevole: disegniamo pieghe sinuose sui tornanti che portano verso Schilpario, luogo celebre per le sue miniere. Note già in epoca romana, sono rimaste attive fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando l’attività estrattiva è cessata per mancanza di fondi. Oggi visite guidate consentono di riscoprire però la dura vita dei minatori scalvini, ripercorrendo la ferrovia sotterranea a bordo di piccoli vagoni. 
Da Schilpario parte anche, alla nostra destra, la seconda – e ben più dura – ascesa che ci condurrà al Passo del Vivione (1.828 m). I primi 17 chilometri sono vallonati per poi diventare, una volta entrati nel bosco di pini e silenzi, tortuosi e quasi mistici: una sorta di ciclistico Into the wild. Li percorriamo con una lama sottile di sole che filtra a fatica tra i tronchi e i rami, il che aggiunge ulteriore magia alla magia.

La sensazione, fortissima, non è di stare pedalando, ma di essere letteralmente preda di un incantesimo. Le pendenze crescono a mano a mano che saliamo. Poi un tornante a sinistra, uno a destra ed eccole: le Dolomiti di Scalve che si aprono in tutto il loro splendore, e ai loro piedi un piccolo laghetto in cui si specchia il cielo blu.

Il Rifugio Passo del Vivione sembra aspettarci per una meritata sosta. Smontiamo dalle bici e ci coccoliamo con una bibita e panini allo speck e formaggio. 

La discesa, ripida e tecnica, verso Malonno ci riporta in Valcamonica. Prima, però, facciamo un insolito incontro: un procione curioso sbuca dal nulla e ci insegue per qualche centinaio di metri, prima di scomparire nella macchia. Gabri lo evita per un soffio. Io, dietro, mi godo lo spettacolo.
La sera, a Ponte di Legno, ci fermiamo in una trattoria: sembra che aspetti proprio noi. Tra pizzoccheri fatti in casa, funghi e selvaggina con polenta e dell’ottimo Rosso camuno, recuperiamo tutte le calorie spese e forse anche qualcosa in più.

Luoghi

Brescia

Il Carnevale di Bagolino

Parco nazionale delle incisioni rupestri

Ponte di Legno

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L’Oglio come faro, la Pianura padana come destinazione

E anche i guerrieri il terzo giorno riposarono. Io e Gabri facciamo colazione in hotel con le gambe cariche di acido lattico e con le guance arrossate per la felicità, come quelle dei bambini dopo una partita di calcio al parco. Meno male che oggi si fa scarico: regola aurea del ciclo-viaggiatore è concedersi ogni tanto un giorno di recupero attivo. Cioè pedalare sì, magari anche per tanti chilometri, ma senza mai forzare e soprattutto senza fare, o quasi, un metro di dislivello. Agili e possibilmente pianeggianti insomma, concedendoci molte soste, vagabondando in cerca di hot-spot instagrammabili o di momenti da ammirare più genuinamente a occhi nudi, senza telefonino. L’alta Valcamonica sembra un parco giochi ideale per fare tutto questo in santa pace.
Oggi ci aspetta quasi solo discesa, seguendo il corso serpeggiante del fiume Oglio lungo la bellissima ciclovia che porta il suo nome.

Partiamo da Ponte di Legno a quota 1.250 metri e arriveremo nel piatto più piatto della Pianura Padana. Attraverseremo ben quattro province: Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova, per un totale di poco meno di 300 chilometri.

La tappa più lunga, ma anche la più facile. Tuttavia, se siete stanchi, vi consigliamo di dividerla in due tranche, pernottando magari in Franciacorta.
Fatti pochi chilometri, all’altezza di Temù, alla nostra sinistra, ecco il ghiacciaio dell’Adamello. Uno spettacolo che di anno in anno si riduce sempre più, come se sulla quella coltre bianca stesse per calare un preoccupante sipario. Alla faccia di chi dice che il riscaldamento globale non esiste. Ma la bellezza di questa valle è talmente potente da saper resistere anche ai cambiamenti climatici: non a caso la ciclabile che stiamo percorrendo, nel 2019, ha ricevuto l’Italian Green Road Award come ciclabile più bella d’Italia.
Ci mettiamo in fila indiana lungo un ponte coperto, interamente in legno: il profumo è fortissimo e lo scrosciare dell’Oglio sotto di noi è una dolce e piacevole colonna sonora. 
Maciniamo chilometri su chilometri tra falsipiani e vere discese, fino a giungere sulla sponda orientale del lago d’Iseo.

La presenza dell’acqua in questi tre giorni è stata forte, rigenerante, una sorta di energia parallela in grado di ripagarci di ogni fatica. Da Idro all’Oglio, al Sebino, ai piccoli specchi in quota. Mentre mandiamo giù una barretta energetica durante una breve sosta, ci guardiamo attorno: quello d’Iseo è un lago con tratti già mediterranei, come il vicino Garda. Qui si trova l’isola lacustre abitata più grande d’Italia, e tra le più grandi d’Europa (il perimetro è interamente ciclabile e chiuso al traffico automobilistico privato): Monte Isola. Eletto nel 2019 tra i Borghi più belli d’Italia, Monte Isola è celebre per l’antica tradizione di retai. Un tempo facevano reti da pesca, ora sono molto rinomati anche per le reti delle porte da calcio, dalla serie A alla Champions League! La cima più alta dell’isola – dove si trova il panoramico santuario della Madonna della Ceriola – tocca i 600 metri ed è fitta di boschi, mentre le pendici sono ricche di ulivi.

Cose buone

Il Bagòss e i formaggi della Valcamonica

I vini della Franciacorta

Il Pirlo

Superate, sempre lungo la ciclabile, le torbiere del lago d’Iseo, eccoci d’improvviso nel cuore della Franciacorta.

Vigneti a perdita d’occhio si intersecano ai nostri fianchi, tanto che qui le colline sembrano quasi pettinate da una spazzola gigante. 
Le montagne incantate dell’alta Valcamonica, i profili minacciosi ma affascinanti delle Dolomiti di Scalve, il gruppo dell’Adamello sono ormai alle nostre spalle. Dai vigneti della Franciacorta tagliamo verso la Bassa cremonese e ritroviamo, a Pontevico, il corso dell’Oglio, nostro compagno di viaggio, sebbene adesso meno fragoroso di quando lo fiancheggiavamo tra i monti, anzi, diventato placido e sinuoso, col venir meno delle pendenze. Lo attraversiamo a Seniga e poi lo seguiamo a distanza dalla sua sponda destra, immergendoci dentro il paesaggio agricolo della grande pianura: Pescarolo, Torre de’ Picenardi, Piadena, Calvatone; quindi oltre Bozzolo e Gazzuolo lo accompagniamo, ormai in territorio mantovano, alla sua confluenza col Po. Ci congediamo dal nostro compagno di viaggio e riprendiamo a ritroso il percorso, risalendo la pianura verso Brescia: Marcaria, Acquanegra – dove ritroviamo il Chiese, che avevamo incontrato all’inizio del nostro viaggio –, Remedello. A Ghedi, sede di un noto stormo dell’Aeronautica militare, siamo ormai in vista del traguardo finale e, con la gamba ormai rodata da tre giorni, sembra anche a noi di volare. A Brescia stoppiamo i nostri rispettivi ciclocomputer: 3 giorni, 500 chilometri e oltre 5.000 metri di dislivello, di pure meraviglie per gli occhi e per l’anima. Obbligatorio venirci.

Tipologia di bici

Road

Questo è un percorso da effettuare con bici da strada, senza ombra di dubbio: i pochi chilometri di strada bianca non sono un problema. Attenzione però: può fare fresco lassù!

Bici

Pinarello X

Materiali specifici e geometrie innovative creano un perfetto bilanciamento tra reattività, prestazioni e comfort: Pinarello X con copertoni da 32 mm è la nostra scelta per questo itinerario, dove avventura e performance si fondono perfettamente.
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Borse

Brooks Scape

La traccia è abbastanza lunga e il clima può cambiare, perciò saranno necessari parecchi vestiti e accessori: il nostro consiglio è di utilizzare un kit completo di borse da bikepacking Brooks.
brooksengland.com

* informazione Publiredazionale

Testi

Giacomo Pellizzari

Foto

Chiara Redaschi

Hanno pedalato con noi

Giacomo Pellizzari, Gabriele Pezzaglia

REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 2, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 12 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.

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