Secret Bormio
Bormio è la capitale delle salite. Ma ci sono strade che ancora non conoscete.
Periodo consigliato
Mag - Ott
Dislivello Totale
7.258 m
Lunghezza totale
273 km
Durata
2 Giorni
C
Secret Bormio
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Intro
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Eita, Fumero, Bormio 2000, Valle dei Forni: alla scoperta di nuovi traguardi
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Il Mortirolo sbagliato e il Gavia corretto: cocktail per grimpeur
In alta Valtellina, questo rischio non si corre. Qui si va dai classici Stelvio, Gavia, Mortirolo, per citare i più noti, alle ascese meno convenzionali, e ricche di fascino. Stiamo parlando dei verdi laghi di Cancano o dell’affascinante salita a Fumero o dell’incantata Valle dei Forni con il suo ghiacciaio imponente e scintillante. Se c’è una località, insomma, che pare fatta apposta per anima e corpo di chi pedala, questa è sicuramente la piana di Bormio. Crocevia naturale di più valli e approdo perfetto per le vostre ciclo-scoperte.
Una volta giunti qui, su questa fortunata piattaforma di lancio a 1.200 metri sul livello del mare, non resta che pedalare. E lasciarsi ammaliare dalla bellezza della natura. Al rientro, a ristorarvi ci penseranno i famosi Bagni: che l’acqua termale di Bormio sia preziosa è risaputo sin dai tempi dei Romani, veri esperti di benessere. Uno dei primi a decantarne le proprietà fu Plinio il Vecchio, quasi duemila anni fa, ma qualche secolo dopo ne rimase affascinato anche Leonardo da Vinci. Bagni Vecchi e Bagni Nuovi sono un autentico toccasana per il post-ride e il recupero muscolare.
In assetto da bikepacking ho pedalato per due giorni interi. Sono stati tutti e due molto impegnativi, è bene dirlo subito (dislivello sempre superiore ai 3.000 metri e chilometraggio sopra i 100), ma assolutamente appaganti.
Il primo giorno è stato quello delle Salite inedite, ovvero ascese poco note, ma ricche di sorprese: la Val Grosina fino al borgo di Eita, l’ascesa delle Prese fino a Fumero, Bormio 2000 (in verità, un po’ meno inedita delle altre) e, infine, la Valle dei Forni. Da quest’ultima ho potuto godere, ad esempio, di una vista a 360° su tutti i gruppi montuosi della zona: Gran Zebrù, Ortles e Cevedale. Difficile trovare altrove uno spot così.
Il secondo giorno può essere definito una sorta di classico rivisitato: ovvero Mortirolo più Gavia, un must per ogni ciclista che si rispetti, ma da un accesso diverso. Il Mortirolo l’ho percorso da un versante alternativo, attraverso il misterioso Passo di Guspessa.
È arrivato il momento di raccontarvi come sono andate queste due giornate di intense emozioni.
Bormio. Scarico la bici dall’auto, aggancio la ruota anteriore, infilo tre barrette nelle tasche, piego la mantellina antivento e ripongo anch’essa in tasca, allaccio il casco e vado. C’è un bel sole, me lo voglio prendere tutto, ma in montagna, si sa, il tempo cambia in fretta e, considerando che la giornata che ho davanti sarà molto lunga (146 chilometri e 3.900 metri di dislivello), l’eventualità di imbattersi in un temporale pomeridiano non è da trascurare. Attraverso il centro storico: Bormio è divisa in piccoli quartieri, detti contrade. con tanto di Palio (che si tiene a febbraio, quando gli atleti si sfidano in varie discipline sciistiche). Le contrade bormine sono cinque: viottoli stretti e antichi, case rurali in pietra dal tetto spiovente e muri spesso decorati da affreschi medievali. Ciascuna ha un proprio gonfalone, un proprio colore e un proprio simbolo. Mi colpisce in particolare quello della contrada Combo: un gatto dalle unghie affilate. A fare da paciere tra i cinque rioni – passandoci letteralmente in mezzo – l’impetuoso torrente Frodolfo che scende dalla Valfurva, la valle che da Bormio risale al famoso Passo Gavia.
Mi dirigo verso il campo sportivo: è da lì infatti che parte il Sentiero Valtellina.
Una spettacolare ciclovia, ultimata di recente, che segue l’intero corso dell’Adda e che consente di andare da Bormio fino a Colico, sul lago di Como, e viceversa: 114 chilometri in tutto.
Lungo il Sentiero Valtellina, scendendo verso Cepina e Sondalo, si può vedere la frana della Val Pola, il segno della drammatica tragedia che nel 1987, dopo giorni di pioggia battente, sconvolse l’intera Valtellina e ne modificò per sempre la conformazione orografica. A ricordare le vittime di quella calamità c’è un monumento. Mi fermo, sgancio i pedali e ascolto il rumore del vento tra i rami, pensando a quel giorno.
Fatti pochi chilometri in discesa, ecco alla mia sinistra la strada che a Le Prese sale sul versante orientale dell’Alta Valtellina alle frazioni di Frontale e poi di Fumero e che io imboccherò più avanti in giornata. Ieri sera, in camera, a guardare il file GPS del percorso mi sembrava tutta discesa. Ma a vederla adesso dal fondovalle così non è: la salita delle Prese si farà sentire eccome, quasi che il nome volesse avvertirti dell’energia che ti verrà succhiata.
Ma la prima vera ascesa la incontro poco dopo, a Grosio: è quella che mi condurrà, dopo ben 15,5 chilometri, al Rifugio Eita (1.720 metri). Ingrano il 34, alleggerisco dietro di due o tre denti, prendo una sorsata dalla borraccia e affronto subito una serie di tornanti che mi portano fuori dal paese. Ora sono di fianco alla parete rocciosa della Val Grosina e, dopo l’abitato di Ravoledo, incontro un secondo caratteristico paese: Fusino. Qui le pendenze si fanno decisamente severe: ecco una rasoiata al 12%. Dopo il ponte, un’altra serie di tornanti mi conduce nella stretta gola di Roasco: qui, finalmente, vedo spuntare il campanile di una chiesa. È quella di Eita, la mia meta.
La discesa mi riporta indietro a Grosio e quindi a Le Prese. Qui mi attende una nuova salita non convenzionale: la poco nota, ma bellissima salita per Fumero. Si tratta di una tipica stradina di montagna che conduce agli alpeggi estivi. Dura la prima rampa, poi si fa decisamente pedalabile nella seconda parte. Sento solo il fruscìo della mia catena che passa da un pignone all’altro mentre vago in mezzo a prati verdi, punteggiati da piccoli gruppi di casette. Il panorama si apre ora sull’intero fondovalle e su tutte le principali cime valtellinesi. Superato il villaggio di Fumero, la strada asfaltata termina presto, in località Fontanaccia. E termina qui anche la mia seconda salita di giornata. Infatti, solo chi ha una MTB può proseguire lungo lo sterrato che si addentra nella selvaggia Val di Rezzalo.
Mentre ritorno a valle, lungo la discesa sono costretto a fermarmi: la strada viene invasa da un gregge di capre. Un pastore mi spiega che sono di una razza autoctona: la Frontalasca, detta anche Frisa valtellinese.
Le lascio passare, mentre mi guardano con sospetto. Riparto in presa bassa lungo i tornanti e quindi riprendo l’ormai familiare Sentiero Valtellina fino a Bormio. Ma non certo per tornarmene in hotel.
Mi attendono le rampe velenose di una nuova salita. Quella che porta fino a Bormio 2000, meta ben nota ai ciclisti, dove passa la celebre pista Stelvio. Sono solo 9 chilometri ma ben 750 metri di dislivello, con pendenza media dell’8% e passaggi al 14%.
Scopro così una salita che non ha nulla da invidiare alle altre più celebrate della piana di Bormio: pedalo seduto lungo i rettilinei e rilancio alzandomi sui pedali quando incontro i tornanti. Prati verdi e fitte abetaie si susseguono; circa a metà salita si incontra la deviazione per la località Ciuk, dove si trova una baita con vista panoramica mozzafiato. Ma non devo cadere in tentazione: la mia meta è più in su.
Con l’acido lattico nelle gambe, agguanto finalmente la vetta nei pressi dell’arrivo della funivia e mi godo il panorama: da qui si abbracciano la cresta della Reit, la Cima Piazzi e il Monte Vallecetta, disposti ad anfiteatro attorno alla piana di Bormio. Zona amata dagli scialpinisti, Bormio 2000 sarà il teatro del debutto dello scialpinismo alle prossime Olimpiadi Milano Cortina 2026.
Dopo la discesa a Bormio, mi attende l’ultima fatica. Quella che mi condurrà a Santa Caterina Valfurva e poi lungo la splendida Valle dei Forni, da cui si gode una spettacolare vista sul ghiacciaio. E che salita! Tocco pendenze da capogiro: rampe al 20%, e strada piuttosto dissestata, ma i copertoni da 32 millimetri non mi creano problemi.
La Valle dei Forni si trova nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio. Un luogo magico, speciale, che nessun cicloamatore può farsi sfuggire: basti ricordare che l’omonimo ghiacciaio è per estensione il secondo d’Italia, dopo quello dell’Adamello. Presso il Rifugio Forni (2.176 metri), terminata la strada asfaltata, decido di scendere di sella e di proseguire a piedi. Mi sfilo le scarpe da ciclista e indosso le altre che ho portato con me. Dopo alcuni affascinanti ponti tibetani sospesi sulle acque impetuose di torrenti alimentati dal ghiacciaio, ecco la conclusione di questa giornata di puro contatto con la natura. La luce azzurrina e cobalto mi abbaglia e mi stupisce: uno spettacolo del genere credo di non averlo mai visto.
Sono quattro i versanti dai quali si può raggiungere il Mortirolo: dal versante valtellinese si sale da Mazzo, da Tovo e da Grosio; da quello bresciano, si arriva da Monno. Non importa da dove, la sua conquista rimane obiettivo imprescindibile di ogni ciclista.
Il 5 giugno del 1994 qui Pantani celebrò una delle prime imprese della sua formidabile carriera (vedi box). Io però non sono Pantani e il Mortirolo lo affronto oggi da una strada nuova. Se possibile, cioè, da un quinto, inedito versante. Durissimo. Quello del Passo di Guspessa. Lo prendo da Sernio, poco dopo Tovo. Affrontata dal Giro under 23 nel 2022 per la prima volta, la strada non ha nulla da invidiare al versante nobile del Mortirolo, quello di Mazzo: sede stradale stretta, pendenza media dell’11,5%, con punte del 17%. In 10 chilometri farete 1.224 metri di dislivello!
Salgo in silenzio nel bosco, non c’è anima viva, ascolto solo il mio respiro farsi affannoso. Insomma, entro nel mio flow: un flusso magico a metà tra trance e sogno psichedelico. Senza accorgermene raggiungo i 1.855 metri del passo e da qui, dopo altri 7 chilometri decisamente più pedalabili, mi ricongiungo con il Mortirolo. E proprio questo tratto in costa è quello più bello, con scorci da brividi sulla vallata sottostante.
Indosso la mantellina, scatto l’immancabile selfie davanti al cartello e mi getto nella discesa a perdifiato su Monno e quindi Edolo.
L’aria è fresca, vibrante, sa di impresa guadagnata, le gambe riprendono forza, i polmoni fiato, gli occhi si fanno lucidi per il bellissimo tratto appena percorso. A Edolo rabbocco la borraccia e mi fermo ad ascoltare lo scrosciare dell’Oglio. Ora questa corrente la devo risalire: le sorgenti del fiume si trovano infatti proprio nei pressi dei 2.621 metri del Passo Gavia, la cui salita si attacca ufficialmente da Ponte di Legno. Oggi c’è il sole, fa caldo, ma so che in cima farà un gran freddo, come se si entrasse in una specie di frigorifero naturale. Il Gavia è un luogo inospitale, crudo, avvezzo alle tempeste. Una delle pochissime zone in Europa dove è ancora possibile trovare tratti climatici tipici della tundra artica, ovvero dell’ultima glaciazione. Del resto, è rimasta nella mitologia del Giro la tremenda tappa del 1988, passata alla storia come quella della bufera del Gavia.
Lasciata Ponte di Legno, la prima parte della salita corre nel bosco, poi, dopo aver superato una sbarra e una rampa al 17%, attorno a quota 2.000, il paesaggio si apre. I tornanti sembrano perdersi letteralmente nel vuoto: la strada è molto esposta e priva di protezioni, un tempo era addirittura sterrata. Alla mia sinistra vedo il ghiacciaio da cui nasce il fiume Oglio; davanti a me, scura e nera come la bocca di una balena, una lunga galleria. Da qualche anno è illuminata, ma non fateci troppo affidamento: si vede poco o niente.
Accendo il led posteriore e quello anteriore e mi addentro, pedalando agile nell’antro. La galleria è curva e ripida. Ma in fondo si vede la piccola luce dell’uscita, che ci guida. Una volta fuori, come previsto, la temperatura scende di almeno 5 o 6 gradi: l’aria è quasi invernale a dispetto della giornata estiva. Un altro mondo, il Gavia. Lunare e affascinante come nessun altro luogo.
Dopo una breve sosta al mitico Rifugio Bonetta, dove mi scaldo e mi rifocillo, supero i due piccoli laghi glaciali, il lago Nero e il lago Bianco, e poi mi getto nella lunghissima picchiata su Santa Caterina Valfurva e quindi casa, Bormio. Ora sì, è tempo di terme e bagni caldi.
Tipologia di bici
Road
* informazione Publiredazionale
Testi
Giacomo Pellizzari
Foto
Alo Belluscio
Hanno pedalato con noi
Daniele Schena
Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 2, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 12 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.