Strade Bianche Alpine
Il paradiso del gravel in montagna esiste, è nelle valli cuneesi.
Periodo consigliato
Mag - Ott
Dislivello Totale
8.800 m
Lunghezza totale
343 km
Durata
4/7 Giorni
D
Strade Bianche Alpine
00
Intro
01
Alla scoperta della Strada dei Cannoni
02
Salendo verso l’altopiano della Gardetta
03
L’alba sul Fauniera e la Valle delle Meraviglie
04
Gran finale: l’Alta Via del Sale
Nel silenzio dell’inizio del giorno, pedalando sul ponte Vassallo, osserviamo il nostro riflesso nell’acqua. Lungo le stradine di campagna resta il sibilare delle ruote che tagliano l’aria e lo scrosciare delle fontanelle. Sarà proprio l’acqua l’elemento chiave di questo viaggio: l’acqua che c’è e l’acqua che manca. A Busca, borracce piene, rifornimento effettuato, perché, dalla Colletta di Rossana, dove inizia la Strada dei Cannoni, non troveremo più fonti fino ad Elva: in mezzo Colle della Ciabra, Colle del Birrone e Colle di Sampeyre. Intanto prendiamo fiato. Appena sopra Busca, dopo la cappella di Santo Stefano, pedaliamo sospesi, affacciati sulle Alpi Liguri e Marittime, la strada sale sempre leggermente, un falsopiano piacevole: in fronte a noi, a un certo punto, vediamo la targa dedicata a Marco Pantani. Siamo sulla Colletta di Rossana, svolta a sinistra, è l’inizio della Strada dei Cannoni.
Un taglio netto, uno stacco temporale: la striscia di asfalto che seguiamo si addentra in un bosco di caducifoglie. Per ora solo poche foglie sono a terra, ma qualcuna cambia già colore e nel giro di un mese questa serpentina sarà un pot-pourri di colori: giallo, arancio, marrone...
L’affaccio, fra le piante, è sulla Valle Varaita: il paesaggio è quasi incontaminato, l’uomo qui non ha lasciato alcuna traccia. La fatica inizia a bussare e il fiato suona la sua sinfonia, ma è appena l’inizio e dopo il bivio di Valmala troviamo una difficoltà in più: lo sterrato. All’inizio è solo un motivo di felicità: giochiamo con le traiettorie, ci divertiamo con la polvere che alzano le nostre ruote. In vetta al Colle della Ciabra qualcuno ci racconta del Monte Roccerè e delle sue incisioni rupestri risalenti all’età del Bronzo. Chissà, magari un giorno ci torneremo e andremo a visitarle.
Ora via, dopo una sosta ristoratrice, puntiamo verso il Colle del Birrone. Qui il sole batte sempre forte, la vegetazione si dirada, iniziano i prati. Una leggera discesa ci alleggerisce, o forse ci illude, prima della risalita. Al Birrone lo sterrato diventa ancor più ostico, serve forza e tanta grinta, per spingere avanti la bicicletta. Il paesaggio ora è più aperto e lo sguardo spazia sulla Valle Maira, ma c’è una mancanza: da qui non scorgiamo il Monviso e il cielo ci sembra più vuoto, quasi avessimo perso l’orientamento, così abituati a cercarlo.
Il pomeriggio allunga le nostre ombre in un accenno di tramonto, mentre affrontiamo l’ultimo tratto in salita di questa prima giornata: il Colle di Sampeyre. I prati dei pascoli sono già ingialliti, qualche marmotta corre veloce da una parte all’altra; cerchiamo di catturarle nello scatto di una foto e poi ripartiamo, alzandoci sui pedali, quasi come a sfidarle a partire insieme in fuga. Ai bordi della strada si stendono coltivazioni di erbe officinali: siamo in alto, molto in alto, oltre i 2.000 metri. Tutto intorno le creste e le cime di queste meravigliose montagne. Siamo a sera, ma fantastichiamo su come sarà l’alba da queste parti.
Meglio tornare a pensare alla strada: serve concentrazione nella discesa verso Elva, anche perché la stanchezza di una giornata così potrebbe farci qualche scherzo. Accanto ci scorre un paesaggio che cambia velocemente, che quasi è un peccato lasciarci alle spalle.
Questi luoghi, qualche anno fa, sono stati lo scenario naturale e umano di un bel film di Giorgio Diritti che s’intitola Il vento fa il suo giro. E allora pensiamo a tutto il vento che abbiamo preso noi oggi e a chissà quale giro starà facendo ora quel vento, mentre Elva è a poche pedalate.
La leggenda racconta che sia stata fondata da quattro briganti in fuga, in cerca di un posto nascosto. In effetti ancora oggi questo è un posto, se non nascosto, di certo ancora lontano dal mondo e dai suoi rumori. Questo è il regno della tranquillità, dove le abitudini si ripetono costantemente nel silenzio e gli abitanti si conoscono tutti. Tra le poche case dal sapore antico, un arco medievale porta alla chiesa. All’interno, le pareti del presbiterio, fin dalla fine del Quattrocento, sono illuminate dagli affreschi di Hans Clemer, così famosi da aver dato il nome al proprio autore, noto infatti sui libri di storia dell’arte con l’epiteto Maestro d’Elva. Il buio arriva e nella sera di Elva cerchiamo il riposo dalle fatiche.
Una delle cose più belle della bicicletta è la sua capacità di trasformare in ordinario anche quel che non si farebbe mai. Il tramonto sul Sampeyre ci è piaciuto così tanto che, stamani, sul fare dell’alba, da Elva saliamo sulle biciclette con le luci accese, mentre è ancora buio e torniamo lassù a gustarci il sorgere del sole. La luce dell’aurora sfuma di rosa tutto quello che sfiora: le pietre, le vette, i prati e le nuvole del cielo. Ci prendiamo tutto il tempo che serve e aspettiamo che il giorno arrivi davvero quassù, riscaldandoci le mani col tè caldo che ci siamo portati con noi. Verso le otto del mattino iniziamo a scendere e percorriamo la lunga discesa fino a Stroppo. Passiamo veloci davanti alle chiese ancora chiuse, disseminate nelle borgate verso il fondovalle, e prendiamo d’infilata piccole frazioni di montagna ancora addormentate. Sono le prime giornate di scuola e a Stroppo, dalle finestre del Convitto – l’ultimo istituto in provincia di Cuneo che assicura ai ragazzi della valle anche il pernottamento e da anni storico riferimento del territorio – esce un gran vociare di studenti. In pochi chilometri arriviamo a Ponte Marmora, facilmente riconoscibile dalla centrale idroelettrica; svoltiamo a sinistra e ci dirigiamo verso Marmora e Canosio. La strada passa vicino al fiume, sospesa su profonde scarpate. A intervalli regolari attraversiamo gallerie scavate nella roccia: l’eco delle nostre chiacchiere si espande fra le montagne. A Marmora, svoltiamo a destra in direzione Canosio, dove un villaggio di tende indiane rievoca le notti dei nativi americani delle Grandi Pianure del nord degli Stati Uniti, a stretto contatto con la natura. Ci piacerebbe fermarci ma invece proseguiamo. Una gola, nella valle, ci conduce al Piano del Preit: la strada all’insù è davvero esposta e grossi goccioloni di sudore cominciano a imperlarci la fronte. Salendo verso il colle, sulla nostra destra ecco apparire l’imponente sagoma del Monte Cassorso. L’asfalto termina e una lingua di sterrato si arrampica fino all’Altopiano della Gardetta e al Rifugio che ne prende il nome.
È il posto giusto per pranzare e riposarci un poco. Questo altopiano ha una storia geologica che racconta che, milioni di anni fa, il mare lambiva questi pendii e l’azzurro del cielo toccava quello delle acque: un’immagine che ci fa sentire così piccoli rispetto alla venerabile maestosità della Terra. Qualcuno ci racconta che recentemente qui è stata rinvenuta un’impronta di dinosauro e la nostra immaginazione riprende a viaggiare nel tempo. Sono però le gambe a farci viaggiare adesso e che ci portano attorno alla Rocca della Meja, fino al Colle della Bandia, dove ancora si scorgono baraccamenti militari, e al Colle di Valcavera. Da qui si sale al Colle Fauniera: una strada verticale che pare non finire mai. La cima la vediamo lassù, ma è come se, per un brutto scherzo, qualcuno si divertisse a spostarla continuamente un po’ più in là. Alla fine ci arriviamo. Sul passo, il monumento a Pantani ricorda la tappa del Giro d’Italia 1999. Di quella leggendaria giornata di ciclismo si parla ancora, poco più giù, al Rifugio Fauniera.
È un posto magico. La notte qui offre uno dei cieli stellati più affascinanti dell’arco alpino, al riparo da ogni inquinamento luminoso. Anche veder sorgere il sole all’alba dicono sia uno spettacolo: lo scopriremo infatti domattina. All’ingresso del rifugio ci sono lì apposta delle coperte per chi volesse distendersi sul prato e vivere questi due intensi momenti di osservazione e meditazione. Però adesso ad attirarci di più è l’aroma degli gnocchi al Castelmagno che arriva dalla cucina. A servirci piatti generosi è Marco, il proprietario del rifugio, che si siede con noi al tavolo e inizia a raccontare storie di montagna e di bicicletta.
Rosso. Sì, solo un colore, quello delle albe di settembre e ottobre sul Fauniera: un rosso intenso, acceso, dopo una notte stellata. Mentre riprendiamo le biciclette e torniamo a salire al monumento dedicato a Pantani, notiamo che qualcuno gli ha messo al collo una bandana.
Un saluto al Pirata e poi ci lanciamo in discesa. È molto tecnica, con tratti difficili: abbiamo in testa la picchiata di Paolo Savoldelli in quel Giro del 1999 ma è un esempio che per noi è prudente non imitare. L’aria fredda ci risveglia dagli ultimi sogni della notte. In prossimità del Rifugio Carbonetto veniamo attirati da una curiosa segnalazione tracciata sull’asfalto: «Formaggi a destra». I formaggi d’alpeggio che qui si producono sono in effetti molto più che una tentazione. Al fondo della discesa incontriamo tutte le frazioni del Vallone dell’Arma, fino a Demonte, la città natale della scrittrice Lalla Romano. Qui ci riforniamo d’acqua e di tutto il necessario e ci prepariamo per le asperità che ci attendono nella tappa di oggi. Dopo aver sfiorato un campo di lavanda il cui profumo ci riporta indietro all’estate, affrontiamo la strada militare verso Borgo San Dalmazzo e torniamo a risalire la Valle Vermenagna, fino a Limone Piemonte. Ci lasciamo alle spalle Limone 1400, da dove partono tutti gli impianti sciistici, e proseguiamo l’ascesa fino al Colle di Tenda Alto.
Il primo tratto di salita è abbastanza tranquillo, gli alberi riparano dal sole: poi, con l’aumentare dell’altitudine la vegetazione si dirada e i boschi lasciano campo ai piccoli arbusti sino, nella parte più alta, alle praterie. Un tratto particolarmente duro, al 10%, ci sfianca, poco prima di arrivare in cima, ai Forti del Colle di Tenda. Sono sei forti isolati, tutti a dominio del versante sud, a eccezione del Forte centrale, esposto a nord. Sono strutture in pietra, a forma rettangolare o pentagonale, circondate da fossati e accessibili tramite ponte levatoio. Il più visibile è proprio il Forte Centrale. Restiamo incantati a guardarlo mentre ci fermiamo a rinfrescarci con la testa e le gambe con la borraccia. L’Alta Via del Sale è lì, a portata di pedale, ma abbiamo deciso di riservarla per il giorno seguente. Ora la cosa giusta da fare è sedersi a un tavolo dello chalet Le Marmotte. Smaltiamo la fatica, beviamo e mangiamo qualcosa per trovare la forza necessaria per affrontare l’ultimo tratto di salita che porta a Peirafica. In realtà le pendenze non sono eccessive, si sale e si scende continuamente, in un falsopiano che conduce fino alla discesa verso Casterino su strada sterrata, recentemente riaperta dopo i gravi danni causati dall’alluvione Alex che ha devastato la Valle Roya e parte delle valli francesi.
È proprio il caso di dire che le parole, qui, hanno un senso. Ci troviamo all’interno della Valle delle Meraviglie, sito archeologico di importanza internazionale. Sono luoghi abitati dall’uomo dalla notte dei tempi e le meraviglie sono i segni lasciati sulle rocce, testimonianze di incisioni rupestri che vanno dal Neolitico (V e IV millennio a.C.) all’età del Bronzo (2200-1800 a.C.). Una bella lezione di paleontologia, prima di un sonno ristoratore.
Il giorno seguente ci svegliamo presto e muoviamo le prime pedalate da Casterino: le fatiche recenti sono ancora nelle gambe e la partenza è dolce, in discesa. Una sorta di lasciapassare verso nuove difficoltà. A San Dalmazzo incrociamo la Route Nationale del Colle di Tenda e, dopo pochi chilometri, svoltiamo in direzione La Brigue, non prima di aver fatto rifornimento. Sappiamo che da queste parti è situata la cappella di Notre Dame des Fontaines. La distinguiamo chiaramente e da subito capiamo perché sia denominata la Cappella Sistina delle Alpi: all’interno dei meravigliosi affreschi rappresentano la Passione di Cristo. Sottovoce ci scambiamo impressioni su quel che vediamo mentre ci viene raccontata l’origine del suo nome. Un giorno le sorgenti di Briga si prosciugarono e gli abitanti promisero alla Vergine Maria di dedicarle un santuario quando l’acqua fosse tornata a scorrere nelle loro campagne. L’acqua tornò e la promessa venne mantenuta. Incrociamo diversi ciclisti, per qualche tratto ci mettiamo a ruota, poi è la salita a decidere il ritmo. Sulle rampe si sente il rumore dell’acqua di una cascata e del torrente: la fatica è ancora piacevole, almeno fino a quando si arriva al Passo di Collardente, sullo spartiacque tra la Francia e l’Italia, vicino agli ultimi villaggi arroccati della Liguria.
Un poco di stretching prima di affrontare lo sforzo verso la Cima Ventosa, appena sotto i monti Saccarello e Tanarello che paiono proteggere i passanti. L’ora di pranzo si avvicina e noi manteniamo alta la concentrazione perché la discesa che porta verso Monesi è su strada sterrata e la guidabilità della bicicletta è fondamentale.
Da qui inizia la risalita nel Bosco delle Navette: bisogna pranzare prima, ma è necessario un pranzo leggero, altrimenti chi sale più? Attorno a noi mille ettari di larici, inframezzati da faggio ed abete bianco, con i raggi del sole che, filtrando dagli alberi, creano giochi di luce. Si tratta del bosco di larici più a sud delle Alpi. Da queste foreste per secoli si ricavava il legname per costruire le navi della Repubblica di Genova, da cui l’origine del nome. La discesa verso il rifugio Don Barbera è un insieme di diagonali che aprono sempre nuovi scenari: il rifugio potrebbe essere anche un ottimo punto in cui fermarsi per spezzare il viaggio, se stanchi o sorpresi dal brutto tempo. Ma oggi il sole è ancora alto sopra di noi e gli sterrati dell’Alta Via del Sale sono così bianchi che quasi ne siamo abbagliati.
Nel pomeriggio raggiungiamo l’area carsica del Marguareis: affascinanti sono le rocce, la loro varietà, i buchi, le forme, i segni del tempo che passa e di quello meteorologico. Il Colle della Boaria, più avanti, riesce a sorprenderci ancora, con un tornante intagliato nella roccia e affacciato sul vallone di San Giovanni: c’è un senso di vertigine e una lieve malinconia perché l’avventura sta finendo. Così restiamo qualche istante a guardare in ogni direzione, ci asciughiamo il sudore e ripartiamo.
In rapida successione, il Colle della Perla ed il Colletto del Campanin, in corrispondenza degli impianti sciistici di Limone Piemonte, con un ultimo traversone ci riaccompagnano al Colle di Tenda. Ora sarà tutta discesa verso Cuneo, con il vento in faccia e il sorriso di chi ha vissuto giorni che non scorderà facilmente. Arrivati in città, per rilassarci, abbiamo pensato a F’orma, lo spazio multisensoriale del Parco Fluviale Gesso e Stura. Dopo giorni a pestare sui pedali, camminare a piedi nudi sull’erba e lungo i corsi d’acqua, ci ha aiutato a sciogliere i muscoli. L’aria della sera è aria d’autunno e arriva da lì, da dove siamo stati, in montagna, dove l’autunno nasce.
Tipologia di bici
Gravel
* informazione Publiredazionale
Testi
Stefano Zago
Foto
Nicola Damonte
Hanno pedalato con noi
Iride Bertone, Aldo Ghiron
Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 2, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 12 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.