Around Milano
Un abbraccio al capoluogo lungo le sue vie d’acqua.
Periodo consigliato
Gen - Dic
Dislivello Totale
1.166 m
Lunghezza totale
315 km
Durata
2/3 Giorni
I
Around Milano
00
Intro
01
Tra la fine del mondo e la vecchia Disneyland
02
I muri della Brianza, il fiume di Leonardo e il negozio di Giovanna
Il nostro venerdì pomeriggio è speso tra due luoghi molto diversi del ciclismo cittadino milanese. Il primo è il celeberrimo velodromo Vigorelli, dove negli anni si sono esibiti sia Fausto Coppi sia i Beatles. Il secondo, un po’ meno conosciuto, è il murale raffigurante due ciclisti nel quartiere Bovisa: si trova in via Codigoro, che con via La Masa e via Lambruschini forma il circuito dell’ormai defunto Red Hook Crit. Oggi si corre il PoliCrit, un criterium di furiose pedalate notturne che toccano quasi i 47 km/h lungo 1.350 metri, di cui 340 tutti dritti più nove curve, sei a sinistra, tre a destra. Del PoliCrit avevo letto su alvento 21 un reportage di Davide Zeo Branca. E Zeo, adesso, è qui davanti a me.
Zeo non ha sempre vissuto a Milano, tutt’altro. Fino a pochi anni fa aveva una baita a Gressoney dove ospitava chiunque arrivasse lassù, tra le montagne. Nell’ottobre 2010 partecipò da spettatore al primo Red Hook Criterium mai corso a Milano: «Fu organizzato in maniera illegale» ricorda. Zeo ora fa il rider ed è molto attento alle problematiche sociali e urbane della città: «Ogni giorno entrano in città 600.000 automobili e più o meno altrettante già vi si trovano». Ecco perché girare in bici a Milano, organizzare critical mass e darsi da fare per una città più sostenibile sono tutte forme di resistenza.
In controtendenza a gran parte delle auto, i ciclisti da Milano tendono a voler uscire. Un po’ perché pedalare in città non è mai il massimo, un po’ perché a pochi chilometri dalla metropoli si trovano meraviglie che aspettano solo di essere raggiunte in bici.
Finalmente si parte. Tra il luogo in cui abbiamo dormito, l’Ostello Bello Grande, vicino alla Stazione Centrale, e l’inizio del Naviglio Grande, si deve attraversare il centro città: i Giardini di Porta Venezia, poi via Manzoni, la Scala, piazza del Duomo. Quando arriviamo nei pressi di Porta Ticinese, la Darsena diventa Naviglio Pavese e Naviglio Grande. Noi seguiamo quest’ultimo, tutto rettilineo fino a Corsico, il primo Comune che incontriamo uscendo da Milano. Crossfit Corsico è una scritta a caratteri cubitali sul muro di una palestra, a fianco della figura di Iron Man. Un’immagine che stride nella forma, ma non nella sostanza con l’unico riferimento che avevo di Corsico, prima di passarci, ovvero che proprio a Corsico era nato Carlo Galetti, vincitore del Giro d’Italia per tre anni consecutivi: 1909, 1910 e, insieme ai compagni dell’Atala, 1911, nell’unica edizione a squadre della corsa. Galetti era soprannominato lo Scoiattolo dei Navigli. Così lo descrive Gianni Brera ne L’Avocatt in bicicletta: «Naturalmente coordinato come pochi. Piccolo di statura, un visetto da scoiattolo, due occhi furbi e il naso lungo e sottile da bisbetico. [...] Ha imparato non si sa come, s’è allenato nessuno sa dove».
Finalmente si parte. Tra il luogo in cui abbiamo dormito, l’Ostello Bello Grande, vicino alla Stazione centrale, e l’inizio del Naviglio Grande, si deve attraversare il centro città: i Giardini di Porta Venezia, poi via Manzoni, la Scala, piazza del Duomo.
Il Naviglio Grande è una sorta di limes, di confine, tra due strade.
Di là del canale strade trafficate, motel, venditori ambulanti di frutta, distributori di benzina, ristoranti con menù fisso: tutti luoghi mordi-e-fuggi, insomma. Di qua invece, lungo la ciclabile, pedoni e biciclette, cascine diroccate al più. Un paio di curvette presso Trezzano rompono il rettilineo e conducono fino alla colorata Gaggiano. Adocchiato un chioschetto che vende mirtilli, frutta e verdura a chilometro zero, si può davvero esclamare: ecco la campagna!
Pedalo per la prima volta in queste zone e mi colpisce il fatto di fare così tanti chilometri su una ciclabile che è al contempo larga, lontano dal traffico e ben asfaltata. Siccome la giornata è particolarmente gradevole, optiamo per una capatina verso Sud: l’abbazia di Morimondo dista giusto una mezza dozzina di chilometri da Abbiategrasso. L’alzaia lungo il Naviglio di Bereguardo, scavato fin dal Quattrocento come via d’acqua di trasporto di merci da Pavia al Naviglio Grande, è più stretta della precedente, più rurale e assai frequentata da persone in bicicletta.
Tutto, a Morimondo, è nato coi monaci cistercensi circa 800 anni fa. Dell’abbazia non perdetevi due cose: il chiostro, nel quale i monaci studiavano la lectio divina, e la sala capitolare, in cui un grande planisfero è punteggiato di luoghi in cui sorgono le abbazie cistercensi nel mondo. Morimondo è stata fondata nel 1134, prima abbazia cistercense in Lombardia, e porta il nome della casa madre francese di Morimond, a Fresnoy-en-Bassigny, in Alta Marna.
Davanti a una foto che ritrae l’Arco del Pellegrino negli anni Venti del secolo scorso, in cui si vede anche una grande pubblicità della Humber Cycles – e che non è poi così cambiato rispetto a oggi –, Paola, guida che dell’abbazia conosce ogni pietra, mi racconta un’ultima storia.
Secondo alcuni, infatti, il nome Morimondo potrebbe derivare dal fatto che, una volta qui, oltre l’abbazia c’erano solo paludi e desolazione. Il mondo civilizzato, insomma, moriva lì. Anche per la nostra pedalata di oggi il confine Sud termina a Morimondo: è tempo di tornare verso Abbiategrasso e oltre.
Un’altra sorpresa – e non abbiamo fatto che 50 chilometri – è Cassinetta di Lugagnano. Dal ponte sul Naviglio Grande si vedono una statua dell’arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo, una passerella cinta da vasi bianchi con tulipani rossi e una lunga sequela di ville di famiglie dell’antica nobiltà milanese. Numerosi edifici in sasso quasi interamente ricoperti dall’edera creano un paesaggio molto diverso da quello urbano: cascina dopo cascina, ci stiamo addentrando nel Parco della Valle del Ticino.
Il fondo si fa misto. Gravel semplice, terriccio, sabbiolina e sassi più grossi si alternano per un’esperienza di pedalata splendida. Per il 95% il percorso si dipana lontano dal traffico: l’unica cosa a cui dobbiamo stare attenti è non finire nel Ticino, che sta scavando parte della zona in cui si diramano i sentieri della Riserva della Fagiana.
Oltre Castelletto di Cuggiono, oltre Turbigo, ecco il Comune più piccolo della città metropolitana di Milano: Nosate. Qui si trova quella che abbiamo eletto a sosta pranzo obbligata, il Binda Bici Bar. Leggendario luogo di aggregazione per chi pedala, il Binda è preso d’assalto da pannolati di altissimo livello: chi fuma la pipa dopo aver posteggiato la bici, chi sfoggia la maglia élite odontoiatrica, chi vuole la tote bag del BBB con raffigurato Charlie Brown ciclista. Le tre piadine che vanno per la maggiore, assicurano le bariste, sono la Moser (speck, brie, salsa rosa), la Alzini (crudo, brie, insalata) e la Ganna, soprattutto se Filippo ha appena vinto qualcosa di importante, perchè sì, anche le piadine dipendono dai successi (coppa, brie, maionese, per la cronaca).
A poche centinaia di metri dal Binda, lasciamo il Ticino per farci guidare da un altro corso d’acqua: il Canale Villoresi.
Costeggiato da un sentierino gravel molto semplice, il Villoresi nasce dal Ticino alla diga del Panperduto e sfocia 86 chilometri dopo nell’Adda. È il secondo corso d’acqua artificiale più lungo d’Italia, ma percorrerlo in bici non stanca mai. Castano Primo, Buscate, Arconate e Busto Garolfo scivolano via sotto le ruote, che sfrigolano sulla ghiaietta.
Proprio dove il Canale Villoresi interseca il suo corso con quello del fiume Olona nacque, nel 1901, Libero Ferrario, un altro dei tanti campioni lombardi del ciclismo di inizio Novecento.
Continuando lungo il Canale Villoresi per una ventina di chilometri, una deviazione verso Pinzano e la cosiddetta Città satellite ci incuriosisce assai. Negli anni Sessanta del Novecento, una grande area, poi contenuta nel Parco delle Groane, venne trasformata in un parco divertimenti e poi progressivamente abbandonata. Nel momento di massimo splendore, negli anni Ottanta, il parco vantava, tra le altre cose, una pista per go-kart, giostre, montagne russe, un piccolo zoo e un laghetto artificiale. Ora è quasi tutto abbandonato, distrutto o rimosso. L’unico posto che ancora resiste è Arnold’s, un bar portato avanti dalla coppia di pensionati Gaetano e Gilda, siciliani di Castelvetrano. Il signor Giorgio, invece, pedala qui da decenni. Ha quasi ottant’anni e ricorda con nostalgia quando accompagnava qui la figlia piccola perché potesse divertirsi: «Avevamo Disneyland, quel parco là di Parigi, qua».
A Senago riprendiamo il Villoresi fino a Monza. Nella città di Teodolinda entriamo che il sole è già tramontato da un pezzo: per vedere la Corona Ferrea della regina longobarda e gli interni della Villa Reale dovremo attendere ancora. Siamo stati sfortunati anche perché non è una serata in cui l’autodromo di Monza è aperto alle biciclette: a volte capita e sarebbe stato bellissimo. Dopo 150 chilometri gravel, però, una sosta all’hotel La Bergamina, nell’omonima località del Comune di Arcore, è ciò di cui abbiamo bisogno.
Il giorno seguente ci aspetta non solo più distanza, ma anche ben più dislivello. A solo cinque chilometri dal via, presso Gerno, incontriamo la ciclopedonale Monza-Erba. Lo sterrato lungo il fiume Lambro è talmente divertente che – cosa che non avrei mai pensato – avrei voluto pedalarvi molto più a lungo.
Ad Albiate un’allucinazione, forse un sogno. La ciclopedonale si interrompe e oltre uno scivolo in cemento eccola apparire, finalmente: una salita. Molto breve e in ciottolato, perlopiù tra due muretti in cemento; qualcuno la chiama Albiatenberg ed è solo l’inizio di uno splendido su e giù tra vari terreni. Una divertente serie di tornanti in discesa su una lingua di cemento tra gli alberi anticipa il muro della stazione di Carate-Calò, con pendenze fino al 20%.
Tra Montesiro, Casatenovo e Missagliola continua il rollercoaster, mentre la strada si impenna decisamente poco dopo un ponticello sul torrente Molgoretta. È una carraia piuttosto disastrata, quasi da MTB, conosciuta da chi pedala in zona come la salita del cancello.
Quando si raggiunge la piazzetta sottostante il santuario della Beata Vergine del Carmelo, si è su di «uno spalto altissimo, un balcone che si erge, fuori dalle nebbie, e si affaccia dritto a Sud; nelle giornate di vento si vede dalla Cisa al Monte Rosa». Parole di Mario Soldati, innamorato di Montevecchia come chiunque vi metta piede.
Certamente lo è Teo, ciclista e musicista di Trezzo sull’Adda, che ha tirato fuori il pc per «buttare giù qualche viaggio mentale» di fronte a quel belvedere. È il cantante di una band che si chiama, rivela col sorriso, Teo e le Veline Grasse. Dietro di noi, invece, vi è una targa commemorativa.
Ricorda Maria Gaetana Agnesi, che «dei matematici veri e della carità sapientissima qui giovanetta e ottuagenaria allietò nella pace la sua vita umile e grande». Prima che la bicicletta mi portasse a Montevecchia, io di Maria Gaetana Agnesi, grande matematica del Settecento, non conoscevo manco l’esistenza.
Una secca svolta a sinistra dopo la chiesa di San Giovanni Battista ci permette di tornare su sterrato. La strada è in discesa e frenare è d’obbligo, ma pinzare sui freni è particolarmente gradevole quando tutto attorno hai gli splendidi campi, le malghe e i panorami di Bagaggera, Valfredda e del torrente Curone. Vallate del genere non si addicono a un’altitudine di 400 e poco più metri: sembra di stare in Trentino e invece sei in Brianza. Ma la cosa davvero sorprendente è che non fai nemmeno in tempo a uscire dal sottopasso pieno di graffiti della stazione di Osnago che, in due pedalate, arrivi già a Paderno e lo scenario muta di nuovo, radicalmente.
Dopo un ripido tratto di discesa sterrata, infatti, «sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama: È l’Adda! Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all’amico rumore».
Non è il mio arrivo sull’Adda, ovviamente, ma quello di Renzo Tramaglino nel capitolo XVII dei Promessi Sposi. Tuttavia Manzoni, tra le cui opere giovanili spicca addirittura un idillio chiamato Adda, in cui il fiume stesso invita Vincenzo Monti a spezzare col canto il silenzio dei suoi boschi, non è nemmeno la figura di maggior rilievo a essere legata al fiume palindromo: Leonardo da Vinci, infatti, realizzò studi e progetti idraulici in queste zone per conto di Ludovico il Moro.
È incredibile discendere l’Adda. Si sente solo il rumore dell’acqua, ma raramente si vede il fiume. Il canale sulla destra è il silenzioso Naviglio di Paderno e nessun suono prodotto da umani, che non siano ruote di biciclette o scarpe di chi cammina, è udibile. Sulla sinistra si aprono sentierini che si fanno a piedi e portano in punti panoramici sul canyon dell’Adda. Uno di questi si dice abbia ispirato La Vergine delle Rocce di Leonardo, tanto è suggestivo il panorama. Continuando sulla ciclopedonale, che una volta serviva ai cavalli per favorire da riva il traino delle barche, ci si imbatte in due luoghi unici. Il primo a valle, il secondo pochi passi più sopra.
Due persone stanno rumorosamente giocando a carte, a scopa 15. Sul tavolo ci sono due bicchieri di vino bianco, la bottiglia, un posacenere, qualche pizzetta, il foglio segnapunti e occhiali appoggiati su un quotidiano. Infine, un biglietto: «Riservato x il compagno Питер». È il cirillico per Pietro, uno dei due giocatori di carte. L’altro, che sta perdendo, rivela che «noi questa la chiamiamo Adda Vecchia, non chiedermi perché. Forse perché per noi l’Adda è quella prima delle dighe, prima dei canali, non lo so. E anche dopo, andando giù: diventa un fiume normale». Qui evidentemente non lo è, e la chiamano Adda Vecchia.
Fabrizio, a cui le carte non sorridono per un pezzo, mi consiglia di percorrere la trentina di scalini che separano il baretto in cui fa il volontario, lo Stallazzo, dal santuario di Madonna della Rocchetta. Da lì si ha una vista incredibile sul fiume, che una statua di Leonardo dallo sguardo torvo e solenne indica con la mano destra, mentre con la sinistra regge alcune pergamene. Me ne vado dallo Stallazzo controvoglia, dopo un panino con la bresaola e un bicchiere di vino, ma sono a circa un terzo del chilometraggio odierno ed è già mezzogiorno.
Superate le splendide centrali idroelettriche in stile liberty Bertini ed Esterle, il fondo ghiaiato rende il percorso un vero paradiso per le bici gravel. I colori pastello del paesaggio sono esaltati al meglio dalle decadenti opere dell’uomo costruite attorno alle acque, finché non si arriva a Trezzo e alla centrale Taccani. Imponente e di color grigio scuro, quest’ultimo impianto sembra un pezzo di Gotham City spostato per errore nel Bosco dei cento acri: questa assurdità la rende ovviamente molto affascinante.
Il punto più incredibile di Trezzo, tuttavia, è un altro ancora. Sotto il castello voluto da Bernabò Visconti intorno al 1370, infatti, splendidi tornanti in cemento conducono verso l’antico porto di Trezzo.
Lasciando momentaneamente l’Adda per il Naviglio Martesana, si arriva a Groppello, frazione di Cassano: in pochi secondi lo sguardo passa da una gigantesca ruota sull’acqua al Palazzo arcivescovile, circondato da alberi dai colori autunnali.
A Cassano, invece, il consiglio è quello di dimenticare per un attimo ciò che dice il ciclocomputer e immergersi nel Parco botanico dell’Isola Borromeo. Il giardino ospita moltissime specie di piante dai nomi bellissimi (pioppo tremolo, ontano nero, viburno oppio) e piccoli quadretti bucolici: in un minuscolo stagno nella zona Nord dell’isola, ad esempio, cicogne – o forse erano cigni? aironi? – stavano passando il tempo tranquille.
Scendendo ancora lungo l’Adda, il paesaggio muta nuovamente. Ora sì che siamo in pianura. Attraversare il bosco del Mortone e le spiagge fluviali di Boffalora è una vera meraviglia. Il paradiso del gravel non termina nemmeno a Montanaso Lombardo, dove i canali Belgiardino e Muzza (quest’ultimo in certi tratti ha la maestosità di un corso d’acqua francese) portano fino a Lodi Vecchio. Chi ha buone gambe arriva qui verso ora di pranzo: dopo una scorpacciata di formaggio lodigiano, è d’obbligo una visita a quel che resta di Laus Pompeia, dal 600 a.C. uno dei primi centri delle popolazioni di origine celtica che dimoravano nella Pianura padana.
Attraversando Sant’Angelo Lodigiano e Marudo si arriva velocemente a un posto piuttosto particolare, sperso com’è tra Pavia e Lodi: non vi è molto a Bascapè, se non un luogo che ci ha permesso di scoprire un’altra storia. Nel territorio di questo piccolo Comune, infatti, nel 1962, in circostanze tuttora non chiarissime, precipitò l’aereo su cui volava Enrico Mattei, presidente dell’ENI. Poco a Ovest di Bascapè, un memoriale ricorda questo tragico evento, uno dei più grandi misteri d’Italia.
Le stradine di campagna continuano ben oltre Bascapè e Carpiano. Campi coltivati, trattori, strade sporche di terra e odore di concime lasciano il posto a uno splendido single track tra gli alberi, in località Cascina Santa Brera. In poche pedalate, superata San Giuliano Milanese, si arriva all’abbazia di Chiaravalle, un altro luogo di cultura imperdibile nei dintorni Sud di Milano. Frate David mi accompagna nel chiostro e verso il mulino dell’abbazia, scherzando sulla dura vita dei ciclisti, che però non è nulla in confronto al loro ora et labora: ogni mattina la sveglia suona verso le 3:30.
Il rientro a Milano, attraverso la località Vaiano Valle, è dolce e lontano dal traffico. Supero i quartieri Corvetto e Calvairate grazie a stradoni veloci; penso che, anche se mi tocca riattraversare tutto il centro di Milano, sarebbe sensato chiudere l’avventura da Rossignoli, storico negozio di biciclette. In molti me ne hanno parlato, ma non ci sono mai stato finora. Arrivato in corso Garibaldi, è impossibile non notarne la scritta rossa su sfondo bianco e le vetrine illuminate di giallino, ci sarebbero anche Piero della Francesca e Raffaello nella vicina Pinacoteca di Brera, ma lo mettiamo nella lista dei desideri per la prossima volta. All’interno conosco Giovanna, che coi fratelli porta avanti il negozio. Il suo sorriso è contagioso e le due parole con cui mi saluta penso siano l’augurio migliore che si possa fare a chi si muove in bici, a Milano o altrove, a chi sta per finire il viaggio andando in stazione a prendere un treno o a chi sta per iniziare un lungo bikepacking: «Buone pedalate».
Tipologia di bici
Gravel
* informazione Publiredazionale
Testi
Michele Pelacci
Foto
Federico Ravassard
Hanno pedalato con noi
Jonas Lang
Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 2, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 12 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.